«Sua Santità, desidero rivelarle tre importantissimi segreti, improrogabili e urgenti, che mi spingono a chiederle udienza al più presto, perché sono convinto che il nostro incontro deve e può cambiare il corso di certi eventi»
Vincenzo Calcara, lettera a Papa Francesco
C’è un pentito di mafia, tale Vincenzo Calcara da Castelvetrano (Trapani), che ha scritto al Papa chiedendogli una udienza privata per confidargli ben tre segreti «importantissimi, improrogabili e urgenti». Uno di questi tre segreti riguarderebbe la scomparsa di Emanuela Orlandi, avvenuta il 22 giugno 1983.
Quello di Emanuela Orlandi è ancora oggi un enigma indecifrabile. Le certezze sono poche e sempre sul punto di essere messe in discussione, così come appaiono poco credibili coloro che periodicamente in questi trent’anni hanno alzato il ditino per rivelare sospetti, indizi e avvenimenti spesso di scarsa rilevanza.
La verità su questa vicenda, quando sembra essere vicina, si sposta sempre un po’ più in là.
Nella missiva rivolta al Papa, Calcara sottolinea che i tre segreti di cui è a conoscenza sarebbero «legati l’uno all’altro, oltre ad alcuni fatti di altissimo livello, che non posso rivelare alle Istituzioni, proprio perché allo stato attuale firmerei la mia condanna a morte e il seppellimento definitivo della Verità in mio possesso».
Sembra il solito mitomane alla ricerca di pubblicità, o un basso ricattatore che prova a lanciare messaggi minacciosi e trasversali a chi “sa”. Non saprei dire, sinceramente. Ma se fossi Papa Francesco non lascerei cadere l’argomento. Ne va della memoria e del senso di giustizia nei confronti di una ragazzina di quindici anni che non è più tornata a casa.
Il 22 giugno prossimi saranno 31 anni di “assenza ingiustificata”. Pensando a Emanuela, e guardando mio figlio quindicenne, mi sembrano francamente troppi.