di Cristina Antoni
Ad ogni Donna, ad ogni Mamma, alla Madre per eccellenza, una Rosa, fiore dai mille simboli, ed anche quello del mese in corso, Maggio, il più prodigo di bellezza.
La Regina dei Fiori è presente da sempre nella storia dell’arte, soprattutto dal 1400 in poi. A partire dalla rosa mistica medievale, dalla vana rosa della natura morta seicentesca, essa giunge ad essere simbolo di rivalutazione della femminilità nel settecento, in cui la rosa, sempre legata alla figura della donna, pervade tutte le arti, anche quelle decorative. L’Ottocento vede un aumento dell’uso simbolico dell’ elemento floreale, sia nei mobili, sia nelle arti applicate, sia alla pittura e viene soprattutto associata alla passione amorosa o legata al dolore e alla morte.
L’uso della rosa come elemento decorativo cresce ancora con l’Art Noveau ad inizio Novecento, in cui piante e fiori si associano alle fluenti linee della figura femminile e viene stilizzata geometricamente nelle rappresentazioni Art Deco’ degli anni a seguire.
Grandi opere del passato la vedono protagonista, in particolare due meravigliosi dipinti che portano lo stesso titolo e soggetto ma sono estremamente diversi, la Madonna della Rosa di Raffaello e la Madonna della Rosa di Parmigianino.
Quello di Raffaello Sanzio è un dipinto ad olio su tavola databile al 1518 circa e conservato al Museo del Prado di Madrid. La Vergine tiene in braccio il Bambino, e San Giovannino gli porge un cartiglio con le parole Agnus Dei, Agnello di Dio, mentre San Giuseppe osserva. La Composizione è ispirata alla Madonna dei Fusi di Leonardo da Vinci che forse incontrò Raffaello durante il soggiorno romano tra il 1513 e il 1516. Il nome deriva dalla rosa appoggiata in primo piano. Le Madonne realizzate da Raffaello sono circa una trentina, per lo più dipinte durante il periodo trascorso a Roma. Sono caratterizzate tutte dal volto dolce ed espressione materna ‘piena di grazia’, di ispirazione peruginesca. Raffaello aggiunge ad esse un’ incredibile naturalezza e plasticità nella postura.
Raffaello ha dell’arte un’ispirazione di ‘bellezza ideale classica’, che rifletta la perfezione e l’armonia dell’intero creato ed a sua volta quella di Dio.
Molto diversa, anche se appartenente alla corrente del Manierismo, è la Madonna della Rosa realizzata dal Parmigianino, al secolo Francesco Mazzola. Fu un vero mago della pittura, un maestro di eleganza, dalla vita tormentata, anche lui rappresentante di quell’arte dei grandi (tra i quali proprio Raffaello, Leonardo e Michelangelo), ma con caratteristiche originali, nella costruzione delle linee, degli spazi e dei colori.
Il dipinto, olio su tavola del 1530, conservato alla Gemaldegallerie di Dresda, è di folgorante bellezza, soprattutto per il modo sensuale ed ammiccante con cui viene rappresentato il tema sacro. La Vergine pare una nobildonna bella, elegante e sensualissima, con le mani curate, dita lunghe da arpista, la veste che segna la linea del seno. Il Bambino si distende in diagonale con il corpo lungo ed affusolato e porta un bracciale di corallo al polso; il mappamondo sul quale si appoggia sembra un lavoro di oreficeria, molto fine è la trama dei capelli delle due figure, notevole è la resa dei petali della rosa ed anche il vorticare della tenda dietro alle figure. Il dipinto appare così ‘profanamente sacro’ da sembrare agli occhi di alcuni più un tema riguardante Venere e Cupido che un tema religioso cristiano.
L’opera, inizialmente destinata al pruriginoso letterato Pietro Aretino, e forse questo spiegherebbe il sottile erotismo che permea l’atmosfera d’insieme, fu invece donato dal Parmigianino al Papa Clemente VII durante il passaggio a Bologna, in occasione dell’incontro con Carlo V.
L’oro e la trasformazione dei metalli furono un’ossessione per il grande artista parmense, che lo portò, come racconta il Vasari, alla rovina e alla morte.
L’alchimia era una pratica molto diffusa tra il ‘400 ed il ‘500, non sempre ben vista, considerata immorale pur essendo praticata da molte élite culturali. Alchemico ed alchimista, dunque, il Parmigianino, perché ansioso, fino agli ultimi giorni, di trasformare in vita la materia della pittura. Si può dire, quindi, che egli andò oltre la bellezza classica di Raffaello, definendone un nuovo ideale.
Quest’opera sacra si presta allora anche ad una serie di letture magico-alchemiche, Maria come contenitore di quegli elementi che dovevano dar luogo al termine del processo alchemico della ‘pietra filosofale’, all’oro; la rosa senza spine sarebbe il simbolo della concezione senza peccato, il mappamondo potrebbe essere il simbolo della ciclicità del processo alchemico, assimilato alla gravidanza, il cui prodotto finale è l’oro, elemento di cui riluce anche l’opera.
Fascino e mistero, bellezza e inquietudine sono gli ingredienti di un’opera dal contenuto complesso, dominata dal più essenziale e perfetto dei fiori, la Rosa.