Nessuno di voi lettori ha mai fatto da animatore-responsabile per una colonia di bambini di dieci anni portandoli tutti insieme da qualche parte e poi trovandosi nella difficilissima situazione di doverli convincere tutti a fare qualcosa insieme?
Se non avete mai vissuto certi momenti, fidatevi di chi li ha passati e sa che far ragionare una intera curva di tifosi incazzati è più o meno la situazione di cui sopra elevata di una decina di potenze.
Il bello degli stadi – e si nota già dal piccolo, mi è bastato andare a vedere una volta un Alessandria-Mantova con 2300 spettatori per rendermene conto – è che concentrano in uno spazio relativamente stretto un gran numero di persone che hanno un interesse comune e che cercano di dimostrare il loro attaccamento al detto interesse nel modo più rumoroso e fastidioso possibile. Sospendere una partita di calcio così attesa come una finale di Coppa Italia, e sperare che i 60.000 tifosi delle due squadre presenti defluissero tranquillamente senza scatenare incidenti era una pia illusione che fortunatamente le forze dell’ordine non hanno nemmeno proposto; trovo quindi logico che nel momento in cui si debba interagire con un numero così elevato di persone, si cerchi prima di tutto di convincere della giustezza delle proprie argomentazioni qualcuno che all’interno di quel gruppo di persone goda già di un certo seguito ed un certo rispetto.
In parole povere, non condanno certo l’idea di rivolgersi ad un ristretto numero di capi ultras per ripristinare l’ordine in curva – l’ultima volta che si era diffusa la voce di un morto fra i sostenitori di una squadra è stato il derby di Roma, e ci ricordiamo tutti come è andato a finire – ma allo stesso tempo non riesco a credere che non esista all’interno della tifoseria napoletana un portavoce più presentabile del figlio di un camorrista a cavalcioni di un cancello con indosso una maglietta «Speziale libero» che non era un suggerimento tattico per Benitez ma un disperato quanto inutile appello per una persona condannata ormai da tre gradi di giudizio e che quando era in regime di semilibertà in attesa dell’appello è stata arrestata per spaccio di droga. Non discuto le gerarchie interne di una curva che, lo ammetto, conosco molto poco e non ho mai potuto frequentare per la distanza, ma indipendentemente da chi in effetti poi garantisse l’ordine e la disciplina nel gruppo, la scelta di un portavoce meno «borderline» avrebbe secondo me trovato più consensi sia tra le forze dell’ordine che fra i lettori medi che la mattina si sono trovati la foto di Genny a’ carogna come giudice finale per la disputa o meno dell’incontro.
Due considerazioni finali: la prima rivolta a tutti i benpensanti che hanno criticato la scelta della trattativa con le curve riguarda il modo in cui loro pensavano di gestire 30.000 persone incazzate nere per avere perso i soldi e l’occasione di vedere la propria squadra del cuore in finale di Coppa Italia – c’erano anche molti bambini perchè era sabato, ma spostandola in un giorno infrasettimanale? – e che oltretutto avrebbero comunque potuto incontrarsi con la tifoseria avversaria in stazione; la seconda è un commosso pensiero a chi scelse per il nostro ordinamento giuridico la formula della civil law anzichè quella della common law: ho i brividi a pensare le future applicazioni di questo precedente per decidere se l’evento sportivo debba iniziare oppure no.