Sono giorni che i famosi 80 euro al mese (da maggio a dicembre, € 640 in tutto) promessi in più in busta paga tengono banco nel dibattito politico mediatico e, alla luce della norma approvata, della recente circolare emanata dall’Agenzia delle Entrate e dei commenti sui giornali specializzati, è possibile trarre alcune riflessioni.
Ammesso e non concesso che arrivino veramente, già si parla di giugno e non più maggio, e che non vi siano decurtazioni su altre detrazioni (leggi assegni di famiglia), provo a spiegarne le caratteristiche e l’ammontare.
Si tratta di una restituzione d’imposta e non di un aumento delle retribuzioni, prevista per i soli lavoratori dipendenti (nulla ad esempio per pensionati, partite IVA di qualunque settore, ecc.) valevole da maggio sino a dicembre 2014; dopo, al momento, non è prevista.
La platea degli interessati è di lavoratori dipendenti con orario a tempo pieno e con impiego a tempo indeterminato. Coloro che lavorano a par time, oppure a tempo determinato (oppure tutte e due le combinazioni) riceveranno, se spettante, una cifra in proporzione. Cioè non tutti gli 80 euro/mese, ma ridotti secondo l’orario e la durata del contratto.
La restituzione d’imposta presuppone che vi sia un’imposta da pagare per essere poi restituita in parte (massimo 80 euro/mese), dopo aver operato la detrazione per reddito da lavoro prevista dalla normativa fiscale.
Proviamo a fare alcuni esempi, per meglio comprendere la filosofia e l’ammontare dell’eventuale restituzione.
Sino a un reddito da lavoro annuo di 8.000 euro, la detrazione fiscale copre tutte le imposte (irpef) dovute e perciò non si percepirà nulla in restituzione. Dagli 8.001 euro sino ai 26.000 euro, se dopo aver eseguito la detrazione per lavoro dipendente restano delle imposte (irpef) da pagare (come restano), parte di queste (massimo 80 euro/mese) saranno restituite.
Esempio se restano trattenute per 60 euro, la restituzione sarà di 60 euro/mese e non di 80 euro/mese. Al crescere dell’imposta trattenuta crescerà la restituzione sino al massimo di 80 euro/mese.
In questo calcolo fa fede solo il reddito del singolo lavoratore, non si tiene conto del reddito di qualunque tipo degli altri famigliari, nel senso che se il lavoratore ha un reddito complessivo inferiore a 26.000 euro/annui, di cui ad esempio 24.000 da lavoro dipendente, ma gli altri membri della sua famiglia come ad esempio la moglie con un reddito da lavoro professionale, il marito riceverà comunque gli 80 euro/mese.
Si potrebbe fare numerosi esempi di vera ingiustizia sociale. Pensare che il decreto n. 66 che ha previsto questa norma s’intitola: “Misure urgenti per la competitività e la giustizia sociale.”
Il Governo, con questa previsione ha letteralmente ribaltato il dettame dell’articolo 53 della Costituzione: ” Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività.”
In altri termini chi più ha, più deve versare d’imposte oppure meno deve ricevere in restituzione, come in questo caso. Il Governo invece restituisce imposte a prescindere dalla reale situazione famigliare del soggetto senza tenere conto del reddito complessivo ma solo individuale da lavoro dipendente. Se questa è giustizia sociale! Ai più deboli, siano essi lavoratori dipendenti (sino 8.000 euro/annui), pensionati, piccole partite IVA, ecc. nulla!
Diverso sarebbe stato seguire, discutere e approvare la proposta di legge del M5S che tiene conto appunto del reddito complessivo del singolo e della famiglia e realizza la previsione della norma Costituzionale, che in Alessandria abbiamo ben spiegato in una affollata sera replicata recentemente a Castellazzo Bormida dimostrando che è rispettosa della Costituzione e non rappresenta una regalia.
Mauro Traverso – Alessandria