Giovanissimo impresario musicale (all’insaputa della famiglia, che lo credeva universitario scrupoloso) nei primi anni Sessanta del secolo scorso. Poi giornalista, editore con una forte vocazione per la cultura del territorio, cittadino attento al mondo della politica. C’è un fil rouge per nulla invisibile che unisce le diverse anime di Ugo Boccassi, legando le sue esperienze di vita e professionali l’una all’altra, ed è l’amore per Alessandria. Un amore di quelli grandi, fatto anche di alti e bassi e incomprensioni. Ma che, lo si capisce da come gli si illuminano gli occhi quando ti ‘accompagna’ in una rapida ‘escursione’ attraverso i decenni, è rimasto inalterato, e gli fa ancora battere il cuore. Ed essere stato scelto come oratore ufficiale del compleanno della città, domenica scorsa, lo ha certamente inorgoglito: anche se, con riservatezza piemontese, sorride appena, e fa finta che non sia così.
Ugo Boccassi, ci tolga una curiosità, in partenza di chiacchierata: ingegnere o architetto?
Architetto, alla fine architetto. E puramente per merito, o demerito, del ’68, e del clima universitario di quegli anni. Ho cominciato a studiare ingegneria in realtà, a Pavia, dopo la maturità classica al Plana. Ma le mie energie giovanili, diciamolo, erano indirizzate altrove: musica e ragazze, per lo più. Per cui ad un certo punto, travolto dagli impegni, di studiare avevo anche smesso, quando il mio amico Marcello Marcellini, che studiava a Milano, mi disse: iscriviti al Politecnico in Lombardia, che lì con il clima da 30 ‘politico’ che tira in questi anni c’è gente che neanche va a sostenerli, gli esami. Danno il libretto ad un amico, che fa segnare il voto a tutti…
Le solite esagerazioni?
(sorride, ndr) Mica tanto sa? Ho preso 30 di scienza delle costruzioni senza sapere la differenza tra un mattone pieno e uno forato, giuro. E alla fine mi sono pure laureato in architettura, e con docenti che, tra gli altri, si chiamavano Umberto Eco e Paolo Portoghesi. Ci ho messo parecchi anni, ma ho pure preso la specializzazione in arti grafiche: e del resto ero già lavoratore da un pezzo, a quel punto, nel settore editoriale.
Ma lì siamo già agli anni Settanta, appunto. Prima, nei Sessanta, ci fu il Boccassi imprenditore musicale: un ventenne intraprendente….
Vuole sapere come nacque, quel percorso? Era il 1960, e facevo vita goliardica, più che universitaria. Ero in buona compagnia peraltro, e per divertirmi (e anche per conquistare cuori femminili, assolutamente) accompagnavo spesso il mio amico Franco Rangone in giro, per concerti. Ad un certo punto, per far colpo su una ragazza di Asti, anch’essa giovane cantante, trovai il modo di farla esibire al Palazzetto dello Sport di Torino, al ‘veglione della matricola”. E lì un discografico vero mi chiese: “scusi, è lei l’impresario della cantante?”. Fu un’illuminazione….
La ragazza ha ‘sfondato’?
Purtroppo no, ma io mi sono ‘lanciato’ nel settore, anima e corpo, e quello ho fatto, praticamente a tempo pieno (mentre i miei genitori mi credevano universitario diligente, almeno per un po’) per 4 o 5 anni. Le soddisfazioni non sono mancate: oltre ad occuparmi, naturalmente, del mio amico Franco Rangone e di Ginetto Prandi, con il mio socio divenni referente, per la nostra provincia, dei migliori nomi della musica dell’epoca: Adriano Celentano, Rita Pavone, Gianni Morandi. Fausto Leali lo battezzammo praticamente noi così, prima si faceva chiamare Fausto Denis: poi l’ho sentito al telefono qualche mese fa, e lì per lì non si ricordava nulla. Ma gli anni passano per tutti, ahimé. Un altro fiore all’occhiello fu l’organizzazione del primo concerto di Gino Paoli, dopo il suo tentato suicidio: parliamo sempre del 1963.
Lei Boccassi ha ben raccontato il mondo musicale di casa nostra in un’opera in due volumi (io, lui, gli altri e la musica), scritto a quattro mani proprio con Franco Rangone: però, al contrario di Rangone, decise di uscire dal ‘giro’ giovanissimo…
E’ vero. Perché era un mondo divertente, e in cui giravano anche molti soldi (che naturalmente spendevo man mano che arrivavano!), ma ad un certo punto cominci a porti il problema del futuro, della stabilità. Così feci per un po’ l’insegnante allo Ial, dove tra l’altro conobbi la mia futura prima moglie. E proprio tramite la scuola scoccò la mia seconda scintilla, il secondo innamoramento professionale: quello per l’editoria. Il direttore dello Ial mi incaricò di occuparmi della stampa del giornale della scuola, e fu così che conobbi il tipografo Bottino, che mi propose di entrare a far parte della società. Accettai, e ci ho lavorato poi fino al 2000. Era una bella realtà, con una ventina di dipendenti, e una forte ‘centralità’ sul nostro territorio.
Quando comincia l’attività del Boccassi giornalista, ed editore vero e proprio?
Beh, innanzitutto ricordiamo che sono il più anziano giornalista pubblicista alessandrino in attività: uomo intendo, perché Emma Camagna mi ‘batte’. Ho cominciato ad occuparmi di giornalismo grazie all’incontro con Fabio Frugali, ex calciatore dei Grigi che editava il settimanale Ultim’ora e sport. E il calcio fu anche il protagonista del mio primo libro da editore, dedicato ai Grigi, nel 1972: un cult introvabile, ma anche, diciamocelo, un vero museo degli orrori, e degli errori. Le fonti all’epoca erano spesso orali, non verificate: e prendemmo anche degli svarioni clamorosi. Ma era il primo libro di quel genere, ed ebbe vasta eco e diffusione.
Da allora, quali sono i suoi libri che più ha amato?
Credo che la Storia degli alessandrini, di Fausto Bima, fortemente voluta all’epoca da Cesarino Fissore, abbia lasciato un segno importante. Ma citerei anche, oltre ai libri sulla musica che abbiamo evocato, Il regalo del mandrogno, e poi Alessandria è una comoda poltrona, con una serie di significative interviste.
Poi c’è la rivista Nuova Alexandria….ieri per domani, come recita la testata…
Esattamente: ossia conoscere nostro passato, per capire il presente, e costruire il futuro. Il primo numero di Nuova Alexandria uscì nel 1995, dedicato ad una importante tavola rotonda che si tenne in occasione degli 800 anni dalla fondazione di Alessandria. A cui parteciparono Umberto Eco, Giancarlo Lunati e altri intellettuali di prima grandezza. L’ultimo numero della rivista invece è datato dicembre 2013, ed è stato ispirato dall’architetto Mario Mantelli, che ha raccolto tutte le frasi letterarie celebri che parlano di Alessandria: da Machiavelli a Piovene, passando naturalmente anche attraverso autori locali.
E il prossimo numero, di cosa parlerà?
Non lo ancora: prima bisogna capire se ci sarà. Speriamo, ma è davvero una questione di risorse sempre più scarse, non di mancanza di idee o argomenti.
Non abbiamo parlato del Boccassi politico: ma c’è stato anche quello…
Sì, anche se ormai molto tempo fa a dire il vero. Facendo il caporedattore al settimanale della Diocesi, La Voce alessandrina, conobbi Vincenzo Milanoli, grande persona, e politico di valore. Fu lui a coinvolgermi nella militanza nella Democrazia Cristiana, che è durata un ventennio direi. Fino a Tangentopoli: con cui sia il sottoscritto, che la Dc alessandrina che fu sempre all’opposizione, non avevamo nulla da spartire. Ma il contesto fu tale da spingermi a ritirarmi in buon ordine: anche se in realtà non entrai mai in consiglio comunale (ad Alessandria almeno: fui consigliere a Masio), ma ebbi sempre ruoli diciamo di gestione: dal Teatro alla Cassa di Risparmio, fino alla vicepresidenza dell’Api.
Oggi cos’è Alessandria, per Ugo Boccassi?
(sorride, ndr) Potrei dirle che è il Club della prostata, ossia un gruppo di 7-8 amici tra i 70 e gli 80 anni che ogni mattina, d’estate e d’inverno, dalle 10 a mezzogiorno, si incontrano in un apprezzato bar di via Bergamo, e fanno la conta: se manca qualcuno, si corre subito a controllare la ‘pagina dei morti’ del Piccolo, e si ricorre agli scongiuri del caso. Scherzi a parte, Alessandria è sempre un grande amore, con tutte le difficoltà che tutti conosciamo. Certo l’impressione è che sia venuto meno il senso di comunità, che ci portava quando eravamo ragazzi, in locali come Baleta o anche semplicemente in Corso Roma, a conoscerci e frequentarci un po’ tutti, dai 18 ai 70 anni. Ecco, quella per me fu una grande palestra di vita, e di cultura, che è scomparsa. Oggi un settantenne e un ventenne, ad Alessandria come forse altrove, vivono esistenze parallele, non sono curiosi ed interessati a conoscere il mondo ‘dell’altro’, del diverso generazionalmente e culturalmente. Questo, al di là della crisi economica e occupazionale, trovo che sia il dato più preoccupante, e la chiave di lettura di questi anni.
Ettore Grassano