Festa dell’Inquietudine 2014
Countdown: – 2
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Da bambino avevo un amico di nome Ubaldo.
Ubaldo veniva sculacciato regolarmente dalla madre poiché accusato di aver intinto le dita nella marmellata; e mentre le mani di lei percuotevano con vigore le natiche di lui, il fratello maggiore in un angolino finiva di lustrarsi con la lingua il dito indice della mano destra ancora aromatizzato all’albicocca.
Fatto sta che ogni volta che si trovava semiaperto il barattolo di marmellata, il mio amico si preparava a calzoni abbassati per ricevere il giusto tributo per una colpa non commessa.
Quest’episodio, che credevo di avere rimosso, mi è tornato alla mente in queste settimane.
Vedendo in tivù un tizio che riceve applausi da una platea invisibile nel momento in cui chiude la finestra o il rubinetto del gas e spegne lo stand-by degli elettrodomestici; in un momento, nell’attesa del gesto ecologico, è addirittura sorridente pregustando l’applauso imminente.
Vige un strana regola per cui io cittadino qualunque dovrei sentirmi in colpa per qualcosa di brutto che non ho fatto.
La colpa è mia se un terzo della popolazione mondiale ha fame.
La colpa è mia se c’è il buco nell’ozono.
La colpa è mia se i pesci dei mari muoiono o non si riproducono.
La colpa è mia se i ghiacci polari si sciolgono.
Neanche il più temibile nemico dei supereroi Marvel ha i miei poteri.
Io che raccolgo ordinatamente tutti i sacchetti di plastica della spesa e li porto al commerciante sotto casa per riutilizzarli.
Io che compro un panino in meno per non avanzarlo e se lo avanzo ne faccio un sacchetto e lo porto a un contadino per le sue bestie.
Io che per prendere appunti uso block notes della Pigna che sono fuori produzione dalla fine degli anni Settanta.
E nessuno, dico nessuno, ha mai provato anche lontanamente a farmi un applauso per queste gesta che sono normali. Piuttosto mi sento sculacciare dal Consiglio dei Ministri con spot che vogliono far riaffiorare dei sensi di colpa come al povero Ubaldo per poi sculacciarmi virtualmente.
Non ci stiamo.
Mettiamo in ordine le cose.
Da una parte l’insegnamento delle cose buone, dall’altra la strategia del senso di colpa.
Ognuno per favore faccia la sua parte senza rompere le uova nel paniere.
Esattamente come fanno i cittadini dell’isola di Lampedusa che senza dire né uno né due si sbattono per tirare avanti nonostante l’emergenza li sommerga.
Loro non si sentono in colpa, ma lavorano per aiutare chi è in fuga per la vita.
E mentre Ubaldo subisce, qualcuno in un angolino continua a intingere indisturbato le dita nella marmellata.