“Ho deciso di dedicarmi ai tendaggi e ai tessuti più di trent’anni fa, quando ho dovuto prendere atto che la rivoluzione proletaria a cui avevo creduto in gioventù non si sarebbe realizzata. E, tra alti e bassi, siamo ancora qui…”. Dino Sburlati ad Alessandria lo conoscono in tanti, sia per i suoi trascorsi ‘rivoluzionari’ giovanili, che per la raffinatezza di Avant Garde, la storica ‘bottega’ di tessuti di gran classe che da qualche tempo si trova in via Bissati (corta, suggestiva, chiusa alle auto: una delle più belle strade di Alessandria, certamente), dopo una lunga permanenza in piazzetta della Lega, angolo via Vochieri (“e prima ancora, proprio agli inizi, eravamo in via Mazzini”). Ci accoglie in un primo pomeriggio di primavera, ci fa accomodare su una poltrona da salotto ‘chic’, e ci regala un’ora di riflessioni argute, che spaziano dal ’68 alessandrino ai giorni nostri, sorrette dall’invisibile ‘fil rouge’ dell’ironia, che hanno consentito a questo ‘marxista operaista’ di passare nei decenni dai progetti rivoluzionari di Lotta Continua (“con qualche marginale transito nelle patrie galere per reati d’opinione e distribuzione di volantini, ma all’epoca era quasi d’obbligo”) alla lettura del Foglio di Giuliano Ferrara. Senza mai però perdere il senso della realtà, e un certo caustico sarcasmo alessandrino. Prima di tutto autocritico, e comunque sempre sorridente.
Dino Sburlati, da alessandrino doc quanto le sembra cambiata Alessandria da quando lei era ragazzo ad oggi?
Enormemente, come è cambiato il Paese. Ma io continuo ad amarla: e cercherò di non farmi ‘incastrare’, in questa nostra conversazione, nella mitologia del ‘reduce’, di cui non poche persone della mia generazione sono vittime, spesso volontarie.
Succede a chi, tra i venti e i trenta, ha vissuto molto, e anche in maniera un po’ spericolata, per dirla alla Vasco Rossi.
(sorride, ndr) D’accordo, ma bisogna mantenere un certo senso della misura, e delle proporzioni. Diciamo che ho cercato di fare la mia parte, mi sono anche divertito e poi, alla fine di un decennio straordinario, ce ne siamo un po’ tutti andati alla spicciolata, per dirla con Adriano Sofri.
Ripercorriamolo però, quel decennio che a molti ormai pare preistoria. Lei quando cominciò a fare politica nella sinistra extraparlamentare, come si diceva allora?
Se devo pensare ad una data simbolo dico Torino, 3 luglio 1969: avevo 19 anni, e due giorni dopo dovevo sostenere gli orali dell’esame di Stato, al Volta. Ma mica potevo tirarmi indietro: era il primo sciopero organizzato dai movimenti, senza l’avallo dei sindacati confederali. Finì con scontri di piazza, fino alle tre di mattina. Fu certamente quello il vero esame di maturità, non c’è dubbio. Anche se in realtà già al Volta, durante l’anno, occasioni per farci sentire ne avevamo avute diverse, e il preside Sburlati (che era solo mio omonimo, naturalmente: nessuna parentela) aveva già ‘bollato’ il sottoscritto e alcuni altri come ‘sovversivi’. E, dal suo punto di vista, aveva indubbiamente ragione: l’ordine costituito non ci andava bene, volevamo cambiarlo.
Lei aderì a Lotta Continua fin dalla sua nascita, nel 1969?
Direi di sì, fui certamente nel nucleo fondatore alessandrino, insieme a diversi altri: da Brunello Mantelli ai fratelli Puleio (Nuccio e Vito), a Luigino Bruni e Luciano Pero. La prima sede di Lc era vicino a Piazzetta Bini.
Realisticamente, e senza enfasi: quanto avete inciso sul tessuto sociale locale, fino allo scioglimento del 1976, con poi tutti i ‘trascinamenti’ successivi? Alessandria come vi trattava?
Eravamo tollerati, ma in realtà incidevamo pochissimo. Anche numericamente, saremo stati un centinaio di persone tra Alessandria, Casale, Tortona. Eravamo molto ‘presi’, poi, dalle rivalità con altri piccoli gruppi della sinistra extraparlamentare: da Potere Operaio ad Avanguardia Operaia. Ma qui in provincia a sinistra continuavano a comandare Pci e Psi, che non ci degnavano poi di grandi attenzioni. Anche perché mancava, nel tessuto alessandrino, la presenza di quegli intellettuali di peso che, ad esempio a Torino, avevano aperto un dialogo con la sinistra radicale.
C’era il Psiup però…almeno fino al 1972….
Certo, ed io convinsi persino mia mamma a votare per Giorgio Canestri, pensi un po’: le dissi che comunque era un socialista, non un comunista, e quindi poteva sostenerlo! Però in realtà il rapporto tra noi giovani di Lotta Continua e gli esponenti del Psiup erano inesistenti, se non di tipo personale: ad Alessandria però ci si conosceva tutti, è ovvio.
Ma lei fece il militante rivoluzionario per molto tempo?
Per qualche anno, dopo una breve esperienza come insegnante. Poi, nel 1976, andai a lavorare in fabbrica: prima alla Cavis, e poi all’Alfa di Arese nel 1977. E lì certamente l’atmosfera era caldissima. Da un lato c’era la fortissima presenza del sindacato organizzato, dall’altra i gruppi che ormai apertamente avevano aderito alla lotta armata: dalla colonna Walter Alasia delle Brigate Rosse, al gruppo di ex ‘lottacontinuisti’ che ormai erano confluiti in Prima Linea. E tu potevi dissentire sull’uso della violenza, ma comunque quelle persone le conoscevi, avevi avuto una militanza comune. Anni difficili, sicuramente. Ma anche entusiasmanti, non posso negarlo. Almeno fino al sequestro ed omicidio di Aldo Moro, che segna in effetti per molti di noi un punto di non ritorno. E la partenza verso tante direzioni diverse.
Il riflusso per lei significa rientro ad Alessandria, e nuova vita nel commercio dei tendaggi?
Non proprio in maniera così diretta. Lasciato il lavoro in fabbrica nel 1980, rientro in città e mi decido per qualche tempo alla gestione del circolo Matteotti, quello dei socialisti. Intanto conosco la ragazza francese che diventerà mia moglie, arrivata da queste parti per lavoro, e del tutto estranea al mondo della militanza politica. Lei lavora già nel settore delle stoffe e delle tende, e nel frattempo mettiamo in cantiere un figlio, che nasce nel 1982. E così, appunto, anch’io comincio a lavorare nel negozio di famiglia.
Insomma, oggi a 32 anni spesso ancora devono uscire di casa e trovarsi un lavoro, e lei già aveva archiviato la sua prima vita, e cominciava la seconda.
Eh sì, ma non è questione di colpe o meriti. Sono proprio cambiati radicalmente i tempi, la società, le opportunità. Peraltro anche oggi i ragazzi non sono tutti uguali: mio figlio a 32 anni vive a Parigi, lavora nel mondo del cinema come tecnico di montaggio e ripresa, ha una compagna (alessandrina anche lei, e anche lei con impegni professionali parigini), ci hanno già reso nonni…..insomma, hanno vite tutt’altro che statiche.
Ma lei, durante la sua trentennale vita professionale come commerciante, ha abbandonato completamente la politica?
Intesa come militanza sì, assolutamente. Un taglio netto. Ho continuato a votare, finché si è potuto per i radicali (nonostante Marco Pannella: per fortuna c’era, e c’è, Emma Bonino), poi senza entusiasmo per il centro sinistra. Ma diventando per diversi anni lettore attento del Foglio di Giuliano Ferrara: perché su molti temi lo trovavo e lo trovo più stimolante di tanti tromboni di sinistra. Che so, penso a Barbara Spinelli che continua a ripetere che questa non è l’Europa che voleva il suo papà: ma che bella scoperta! Come a dire che, se tutti i proletari del mondo si fossero uniti, la storia sarebbe stata diversa. Insomma, bisogna fare i conti con la realtà, nel bene e nel male. E guardare avanti, a quel che si può fare ora: mica si può vivere di ricordi, o di ipotesi non realizzate.
E la realtà, per lei commerciante di tessuti, in queste settimane si chiama PrimaveraAlessandrina: come sta andando questa iniziativa, e cosa si aspetta?
Mah, abbiamo aderito con piacere, anche se in un’attività come la nostra qualche apertura domenicale in più cambia poco. Il punto è che nell’epoca dell’Ikea, e dell’offerta standardizzata (e spesso dignitosa) a basso costo si è radicalmente trasformato il gusto delle persone, insieme alle loro aspettative di spesa. Da noi i tessuti costano tanto, mica lo nego, e non può essere diversamente. Quando vedo entrare qualche cliente che mi sembra capitato qui per caso, se mi chiede i prezzi lo invito prima a sedersi e a fare due chiacchiere: meglio prepararlo psicologicamente…
Ettore Grassano