«Se si potesse scontare la morte dormendola a rate!»
Stanislaw J. Lec
Se c’è un argomento di cui non sta bene parlare, in ogni ambiente e dunque forse nemmeno qui su CorriereAl, è la morte.
Anche i preti ai funerali, se ci fate caso, si impegnano a usare sinonimi vellutati per il defunto, involontario protagonista dell’evento: è scomparso, si è spento, ci ha lasciati, e così via. Malgrado tutti sappiano che il caro estinto è semplicemente morto.
Che cosa sia la morte, e soprattutto il post-mortem, è argomento trattato in ogni tempo da filosofi ben più illustri del sottoscritto. Con risultati miseri, se siamo ancora qui a parlarne. Una riflessione, piccina piccina, mi permetto però di condividerla con voi, se ancora mi seguite. L’ho per così dire “sviluppata” ai funerali del compianto Paolo Zoccola, due giorni fa. Mi sono chiesto, guardando i presenti e soppesando gli assenti, quale paura ci spinga a vivere la quotidianità come se la morte non ci riguardasse, come se non fosse l’unica cosa certa della vita. Ai funerali, in genere, questo sentimento si percepisce distintamente. “E’ toccata a lui, è andata bene”.
Ennio Flaiano, nei suoi taccuini, annotava una frase (probabilmente non sua) che dice così: alla morte ogni fesso ci arriva. E un mio caro amico afferma spesso che, a pensarci bene, siamo tutti malati terminali. Non è forse così?
PS: la foto ad inizio articolo l’ho scattata personalmente a Rimini, venerdì scorso. Ritrae il manifesto funebre di una simpatica signora, Miranda A., bagnina (immagino nel senso di proprietaria dello stabilimento balneare), mamma e nonna romagnola. Un volto sorridente, una immagine allegra: bisognerebbe essere sempre ricordati così, in positivo. Anche perché, chissà, dall’altra parte magari si sta meglio.