Nato nel 1973 a Novi Ligure e laureato in Giurisprudenza a Pavia, Alberto Basaluzzo di professione fa l’attore. Ha iniziato a Genova con il Teatro della Tosse, e poi nel 2002 si è trasferito in modo permanente a Roma, dove si è pazientemente sottoposto alla inevitabile trafila di provini, agenzie, foto e incontri. Tutto questo lo ha portato a lavorare per la Tv, con ruoli siginificativi in diverse fiction: La Squadra, Medicina Generale, L’isola. Poi è arrivato il cinema, dove ha recitato, tra gli altri, con Fabio Volo, Vinicio Marchioni, Stefano Accorsi, Margherita Buy e Gabriele Muccino. Con il film “20 sigarette”, nel 2010 ha vinto il premio Controcampo a Venezia, mentre qualche giorno fa il film di Davide Minnella “Ci vorrebbe un miracolo”, in cui Alberto ha un ruolo di primo piano, è stato premiato come Miglior Film Italiano alla XIII Edizione del Rome International Film Festival 2014. Ha diretto alcuni cortometraggi, ama lavorare come videomaker e fotografo e, quando gli gira, alimenta il suo canale Youtube e scrive racconti. In Tv ha partecipato anche alla trasmissione “Grazie al cielo sei qui”, andato in onda nel 2009 su La 7. Il programma non ha avuto un grande successo, ma lui si è divertito come un matto.
1) Alberto, perché hai deciso di fare l’attore?
Bella domanda. A otto anni il classico “temino” a scuola: cosa vuoi fare da grande. Scrissi il mago o l’attore. Era un piccolo quaderno a righe Fabriano che credo di avere ancora da qualche parte. Questo per dire quanto è ancora vivo in me il ricordo di quel momento. Credo tutto sia nato a quell’età, quando andai a vedere la recita di Natale che mi ero rifiutato di fare per timore e timidezza. Fu così forte e sana l’invidia per i miei compagni in scena che si divertivano e ricevevano gli applausi che decisi di provare.
2) A chi ti sei ispirato, e quali sono stati i tuoi maestri?
Confesso che, quando ho cominciato a fare questo mestiere, o meglio a studiare per fare questo mestiere, non avevo una grande conoscenza in merito alla storia del teatro e dei suoi protagonisti. Avevo una generica ammirazione per il cinema che aveva accompagnato la mia adolescenza, senza essere attratto dal lavoro di un attore in particolare. Ad oggi, ti posso dire che ho una predilezione per gli attori che “scompaiono” nei personaggi che interpretano, senza però diventare maniacali o ossessivi. Adoravo Philip Seymour Hoffman, recentemente scomparso, già dai tempi di Profumo di donna. Poi Stanley Tucci, il cui nome non dirà un granché a molti, ma è un attore eccezionale, presente in un sacco di film, capace ogni volta di diventare qualcosa di diverso, mai scontato, mai banale. E poi il grandissimo Michael Caine, misurato, minimale, efficace. Inglese, insomma.
3) Ti dividi tra cinema, teatro e tv. Dove ti senti più a tuo agio?
Ti rispondo con le parole di Michael Caine, per l’appunto: “Per me, fare un film è come essere innamorato di una donna che cucina, ti lava i calzini ed è brava a letto. Recitare a teatro è come essere innamorato di una zoccola a cui non importa nulla che tu viva o crepi”. In fondo è un po’ così, e a volte non sentirsi a proprio agio è proprio la parte più stimolante del lavoro.
4) Torni spesso a Novi Ligure? Hai mantenuto i rapporti con gli amici che hai lì?
Torno spesso, ma meno di quanto mi piacerebbe. Negli anni ho riscoperto il valore della piccola cittadina. I tempi più dilatati, le persone meno nevrotiche… Vedere gli amici novesi non è sempre facile, visti i tempi stretti delle mie visite, ma per alcuni si fa il possibile. Con Giulio, sicuramente l’amico più stretto e vecchio che ho, troviamo sempre il modo di farci una chiacchierata abbinata a una mangiata o a una bevuta.
5) Una curiosità. Con la tua collega Carlotta Viscovo hai scritto il libro “Recitare in siciliano. Manualetto di pronuncia per sembrare siciliani senza esserlo” (Audino Editore). Come ti è venuto in mente di lanciarti in questo progetto?
Era un progetto a noi caro, che purtroppo si è incagliato nelle difficoltà della editoria attuale. Doveva comprendere una serie di volumi ognuno dedicato a un dialetto italiano. E’ nato da un viaggio a New York dove, nelle scuole di teatro e nelle librerie di settore, ci sono piccoli volumi corredati di CD che insegnano agli attori come recitare con le inflessioni dei vari stati americani e non solo: come rendere credibile la parlata di un immigrato polacco, piuttosto che italiano o portoricano. Insomma, fa parte della formazione di un attore essere svincolato dai limiti regionali di provenienza, e dunque ci sembrava che proporlo in Italia potesse avere un suo senso. Abbiamo colleghi che arrivano dai vari angoli della penisola desiderosi di collaborare a questo progetto. Inoltre, ci sembra possa essere un modo per mantenere viva una tradizione linguistica che rischia di perdersi negli anni. Al momento è uscito solo il primo volume. Vedremo…