Nata e cresciuta ad Alessandria (la madre, nata in Uruguay da genitori piemontesi, si è trasferita in Italia dopo aver sposato il padre, italiano, all’epoca abitante in Uruguay), Mara Tinto è sposata con un medico appassionato di musica, con il quale condivide la passione delle sette note senza paura di togliere tempo alla famiglia. Di lei si sa che è una cantante assai talentuosa e raffinata. Quello che non tutti sanno è che Mara è anche una grafica che si diverte a preparare le locandine che i locali utilizzano per pubblicizzare le sue serate. Ha frequentato corsi di ogni tipo perché adora incontrare persone nuove: teatro e dizione, design e disegno del gioiello, corso di comunicazione, lettura veloce, laboratori di regia e videoclip. Ce n’è abbastanza per definirla un’artista a tutto tondo, non vi pare?
1) Mara, cantanti si nasce o si diventa?
La domanda appare semplice ma merita una risposta articolata. Secondo me, artisti si nasce e bravi si diventa; se si nasce con il talento per il canto, si riesce a fare agevolmente ciò che riesce difficile agli altri. La verità è che comunque la si ponga “l’attitudine” è legata a predisposizioni caratteriali, di habitat e genetiche, è necessaria però la capacità di ascoltarsi perché cantare non significa essere solo intonati. La capacità di ascolto e la memoria sono i fattori fondamentali per riuscire a trasmettere i tratti della propria anima attraverso la voce. Da questi fattori dipendono le qualità più importanti dell’intelligenza musicale come ad esempio la creatività e l’espressività. La tecnica e la teoria sono certamente utilissime, ma non indispensabili come spesso si è portati a credere. Anzi, a volte la mancanza di una preparazione si trasforma in vantaggio perché si è liberi da dogmi e quindi diventa più semplice sviluppare un linguaggio indipendente, composto dall’approccio a generi anche diversi tra loro. Per quanto mi riguarda sono una cantante autodidatta e non ho mai seguito lezioni di canto, la mia impostazione si è costruita grazie all’esperienza.
2) Hai avuto l’opportunità di partecipare a diversi festival, come ad esempio Castrocaro nel 1993 o Saint Vincent nel 2008. Ti sono sempre sembrati “puliti”, oppure era già tutto deciso, vincitori e vinti?
In entrambi i concorsi ho avuto la possibilità di arrivare in finale e di conoscere la realtà di due dei Talents canori più rinomati in Italia. Ho partecipato giovanissima a Castrocaro presentando una canzone in coppia con Mauro Rota, cugino di Al Rangone, e con noi erano stati selezionati anche Leda Battisti, Lighea e i Jalisse; vinse Lighea eppure dietro le quinte ci furono rumors che passavano i Jalisse come “raccomandati” di Claudio Cecchetto. Nonostante avessero perso in quell’occasione, furono loro ad arrivare a San Remo nel ’97 e a vincere, contro tutto e tutti, la grande kermesse televisiva, come se Castrocaro fosse stato solo uno scalino obbligato del loro percorso.
Il Festival di Saint Vincent mi deluse molto; partecipavo come solista e gli organizzatori ci fecero sapere spudoratamente che chi portava più spettatori durante le selezioni avrebbe avuto maggiori possibilità di aggiudicarsi i primi posti e naturalmente i biglietti andavano pagati in anticipo dai concorrenti. Il punteggio si avvaleva dei voti del pubblico, quindi i primi posti furono vinti da chi venne alla finale veicolando pullman di amici e parenti. Vinse però una ragazza amica dell’organizzatore e fin qui nulla di strano, vista la poca serietà dimostratami. Mi venne chiesto, dopo qualche tempo di fare urgentemente un video musicale collaborando con loro, perché, grazie al concorso, ero stata notata da chissà chi: il video mi sarebbe costato circa 1.000 euro! All’epoca risposi che se qualcuno fosse stato interessato sul serio poteva chiamarmi al telefono. Usarono questa tattica con tutti i finalisti e qualcuno abboccò. Io no e quella importante chiamata non ci fu mai! A voi trarre le giuste conclusioni…
3) Mi potresti raccontare in che cosa consiste il progetto “Evakant”?
Oltre a collaborare musicalmente con mio marito Tiziano Agnisetta e con un favoloso quintetto jazz, l’avventura nella band musicale di cover nasce per una mia precisa esigenza. Non ho mai avuto un gruppo tutto mio ed era arrivato il momento di formarlo; l’ambiente musicale mi ha portato poi a conoscere le persone che potessero condividere con me questo progetto. La musica, grazie all’immediatezza del suo linguaggio, è in grado di connettere immediatamente i musicisti e suonare insieme, per me, diventa sinonimo di benessere ed allegria. Grazie alla collaborazione di un musicista degli Evakant, Sergio Cina, ho avviato anche un ulteriore progetto di voce e chitarra acustica che sta partendo nei locali in questo periodo, i Tintaunita. Da cosa nasce cosa.
4) Una volta Danilo Arona, in un pezzo dedicato a te su CorriereAl, ha scritto che “ad Alessandria è vietato avere talento”. Secondo te è davvero così?
Condivido le parole di Danilo Arona e metto l’accento sulla scarsa affluenza ai locali, luoghi appositi di ricezione musicale. Anche questo è un aspetto da non sottovalutare. Gli alessandrini danno valore alla musica se viene da lontano, da quanto ho capito, e poco importa se hanno il vicino di casa che suona da vent’anni ed è anche bravo, faticano ad uscire da casa per andare a sentirlo. Non facciamo di tutta l’erba un fascio, certo, ma ho amici di altre province che si spostano appositamente e mi vengono a trovare nelle serate e amici alessandrini che non vedo mai. Per onorare il proprio talento occorre coltivarlo giorno per giorno e Alessandria non è la città giusta per riconoscerlo. Comunque, quanto è vero il detto “nemo propheta in patria”.
5) Come vedi Alessandria, e che futuro potrà avere? A tuo avviso l’arte e la cultura che cosa possono fare in una situazione così disastrata?
La storia della mia città mi porta a considerarla come un punto di snodo importante di strade e di destini. Viene tristemente menzionata in Italia per il disastro dell’alluvione nel 1994 e riportata poi alla ribalta dal nuovo Papa Francesco il cui cognome, Bergoglio, ha le sue origini nel nome di un antico quartiere di Alessandria. La città sta subendo un grave calo demografico causato dai problemi lavorativi di questo particolare momento e ha un forte bisogno di essere nuovamente valorizzata nelle sue risorse; anche noi abbiamo un patrimonio storico, artistico, musicale, archeologico, paesaggistico, conosciuto e apprezzato. Un patrimonio che al tempo stesso necessita di competenze storiche e scientifico-tecnologiche sulle quali investire, per una capillare opera di manutenzione e prevenzione che salvaguardi nel tempo l’integrità di tali beni e, perché no, il loro sfruttamento a livello turistico. Il futuro di Alessandria comincerà solo se lei lo vorrà.