Un interessante articolo pubblicato sul più recente numero del settimanale L’Espresso affronta il problema della cosiddetta “fuga di cervelli” dall’Italia, fornendo tutti i dati necessari per avere una panoramica completa del preoccupante esodo. Sono proprio quei ragazzi e quelle ragazze di cui vi avevo raccontato nella primissima puntata di Rive Gauche.
Ora abbiamo la possibilità di parlare nuovamente di loro, inquadrando il fenomeno nella sua complessità.
In primo luogo, le dimensioni: sono ben cinquemila i neolaureati che ogni anno decidono di abbandonare il nostro Paese per trasferirsi in maniera stabile all’estero, per di più con un contratto a tempo indeterminato in mano. Le statistiche ci dicono inoltre che a partire sono proprio gli studenti migliori, quelli con le medie più alte e che possono vantare curricula impeccabili. I settori professionali “in fuga” sono soprattutto quelli afferenti ai corsi di studio di Ingegneria, Economia, Lingue, Medicina e ai dipartimenti di Scienze Politiche e Sociali.
La mappa dell’esodo è altresì molto significativa: la maggior parte dei nostri giovani scienziati si trasferisce nel Regno Unito (16,7%), una parte consistente in Francia (il 15%), mentre il resto si divide tra Germania, Svizzera e Stati Uniti.
All’origine dell’esodo sta soprattutto un fattore economico, stando alle interviste rilasciate da chi ha deciso di fare le valige e alle statistiche: all’estero gli stipendi, anche quelli di partenza, sono nettamente più alti che in patria. Oltre alla busta paga, ci sono anche due altre importanti motivazioni che spingono i giovani a guardarsi intorno sul mercato del lavoro europeo e extraeuropeo. Da una parte, gli altri Paesi offrono, oltre a contratti a tempo indeterminato, anche la certezza di un percorso professionale di crescita. Dall’altro, la maggior credibilità attribuita ai giovani professionisti negli ambienti di lavoro al di là delle Alpi e al di là dell’oceano consente lo stabilirsi di un rapporto di fiducia e di stima impensabile nel nostro sistema gerontocratico.
I dati sulla fuga dei nostri migliori laureati sono davvero allarmanti. Sono allarmanti perché il nostro Paese spende quasi 7.000 euro l’anno per formare ogni studente italiano – per un totale complessivo che si aggira intorno ai 175 milioni anni- e poi i frutti di questo prezioso investimento sono colti da altri. Sono allarmanti perché l’Italia sta perdendo gran parte della classe dirigente del futuro, disseminandola in giro per il mondo. Insomma, ci stiamo perdendo il nostro futuro. Ci vorrà ancora molto perché la nostra classe politica assuma gli antidoti necessari?