È il 2007 quando Michele Puleio (voce e basso), Rosario Russo (chitarra e seconda voce), Davide Buzzi (chitarra) e Nicholas Altea (batteria) decidono di iniziare a suonare assieme.
L’idea del progetto è semplice ma ambiziosa: saranno un gruppo indie-rock, e non suoneranno delle semplici “cover”, ma si lanceranno nell’impresa di scrivere e suonare delle loro canzoni.
Michele e Rosario erano compagni di liceo, e già in quegli anni avevano iniziato a suonare assieme qualche pezzo nel vecchio, celebre, Punto D di Alessandria:
chiaramente i due erano ancora agli inizi, e si limitavano a ritrovarsi ogni tanto giusto per suonare le loro canzoni preferite.
Una sera, mentre sono in compagnia di Davide, amico di vecchia data di Micky, parlando scoprono di avere gli stessi gusti musicali… E tutti e tre sono alla ricerca di un gruppo nel quale suonare: “l’idea” balena nella loro testa come un fulmine.
Al trio si unisce poi Nicholas, conosciuto durante un concerto a Torino: nascono così i Femme Fatale.
Ormai il gruppo è attivo da quasi 7 anni, durante i quali le soddisfazioni non sono mancate: il primo coronamento dell’impegno dimostrato fu, nel 2010 l’uscita del loro primo EP “Fading Night Sounds” , 6 tracce di puro “indie-rock”, rigorosamente in inglese.
Il gruppo si è sempre mosso bene nel territorio: “Siamo usciti dalla provincia molte volte, anche se suonare nei locali di Alessandria era già un successo: mi ricordo le serate al Mephisto (ormai chiuso) di Lu Monferrato, al Qba (l’attuale Nolita) con la serata dedicata alla musica rock targata LondonFreaks: furono esperienze meravigliose. Poi abbiamo allargato i nostri orizzonti: abbiamo suonato vicino a Firenze, al Rocket e al Circolo Magnolia a Milano, poi a Pesaro, a Ferrara e via dicendo. La soddisfazione maggiore però ce l’ha data suonare a Liverpool, al Cavern Pub e al Cavern Club, proprio il locale nel quale i Beatles suonarono innumerevoli volte negli anni ’60”.
I ragazzi mi confidano che in futuro vorrebbero partire alla conquista del Nord-Est e del Sud Italia; Michele mi dice sorridendo che aspetta la data in cui suoneranno a Roma: prima o poi arriverà.
L’anno scorso è uscito “Domestic Peace”, il secondo EP, accompagnato dal loro primo videoclip ufficiale “Teenage calling”, girato dal videomaker alessandrino Lucio Laugelli.
I Femme Fatale hanno suonato nei contest e nei festival in svariate città: “Ti danno una visibilità enorme: hai l’occasione di suonare per un pubblico sempre diverso, di fronte al quale difficilmente avresti la possibilità di esibirti! Sarebbe difficile suonare in così tanti posti diversi e tutti così distanti altrimenti.
Girovagando qua e là abbiamo notato come altrove la gente si accosti in modo differente alla musica: da noi, c’è poco interesse nel sentire una band mai sentita prima, c’è meno ricerca di gruppi nuovi. In Alessandria funziona molto il “passaparola”, è vero, e alle volte è un bene… ma, là fuori, nelle altre regioni, la gente va ad ascoltare un gruppo a scatola chiusa: sanno che c’è un evento con band emergenti? mossi da curiosità vanno a dargli un ascolto”.
I Femme Fatale sono un gruppo indie (un tipo di “alternative rock” che deriva dalla parola “independent”, per simboleggiare l’indipendenza dalle grande etichette discografiche) e questo loro stile ha influenzato anche la scelta del nome del gruppo: “Non ci abbiamo messo molto a deciderci. Il nome è venuto da sè. Ci piaceva l’idea della donna pericolo, un simbolo di femminilità capace di attaccare l’integrità dell’uomo. È un simbolo evocativo, un concetto romantico: ci ha colpito per la sua immediatezza. Esiste un’omonima canzone dei Velvet Underground, ma non c’entriamo nulla con loro”.
I quattro ragazzi vivono tutti in Alessandria, anche se si spostano spesso per impegni universitari e legati al lavoro; come quasi tutti i loro concittadini sono a conoscenza dei limiti della città, soprattutto in campo musicale: “Purtroppo qui da noi la possibilità di far suonare dei gruppi in elettrico praticamente non c’è. Tolta l’Officina praticamente non c’è altro. Molti pub e locali possono ospitare una band per l’acustico, ma di esibizione in elettrico proprio non se ne parla. Inoltre
anche per l’acustico spesso ci sono problemi.
Quello che manca è una regolamentazione scritta sulla possibilità di far musica dal vivo qui in città: ci vorrebbe una sorta di ‘liberazione della musica’.
Ad esempio se fosse scritto da qualche parte che il venerdì si può suonare fino a mezzanotte e al sabato fino alle 0,30, sarebbe un passo avanti enorme: vorrebbe dire che fino a quell’ora si può far musica, senza che nessuno protesti o si lamenti per il ‘rumore’ “.
Inoltre i ragazzi sottolineano che sarebbe bello avere appuntamenti fissi con la musica: eventi live una volta al mese per esempio (come accadeva con la serata LondonFreaks, ormai caduta nel dimenticatoio), così che la gente possa ritrovarsi periodicamente non solo per il bello di stare assieme, ma anche per ascoltare e condividere buona musica, che sia rock, blues o jazz.
“Se Alessandria sponsorizzasse un po’ la musica, ne trarrebbe vantaggio anche la città in sè! Il locale dove si svolge l’evento di turno, chiaramente avrebbe un vantaggio economico; ed inoltre poi apriremmo la città ai musicisti della zona: spesso ci chiamano delle band amiche nostre che ci chiedono dove possono suonare da noi, ed è brutto non sapere mai cosa rispondere”.
Sebbene Alessandria abbia bisogno di un’organizzazione diversa, i ragazzi sanno che ci sono speranze, perchè quando ci sono gli eventi musicali giusti, la gente risponde positivamente.
“Alessandria non avrebbe bisogno di chissà cosa, dovrebbe semplicemente sfruttare meglio ciò che ha già (e questo è un dato comune che emerge anche dalle altre interviste: sarà forse il caso di fare qualcosa a riguardo quindi?, ndr). Coi giusti input tutto può funzionare.
Spesso molti vogliono andare via da qui… E ci può stare l’idea dell’andarsene, ok, ma poi se ce ne andiamo via tutti, ammazziamo ancora di più la nostra città: cioè vogliamo farci le nostre esperienze fuori da casa? Va bene, ma poi bisogna tornare per applicare le nuove esperienze alla nostra realtà, sfruttarle per migliorare ciò che ci sta attorno. È anche vero che alle volte stare in provincia sembra ucciderti… ma questo dovrebbe spingerci a far meglio, non a gettare la spugna!”.