Storia e storie. Come sempre viaggiano a braccetto. Me ne viene in mente una, a me nota per aver conosciuto anni addietro alcuni dei suoi protagonisti. Notte tra il 21 e il 22 aprile 1945. Un treno è fermo nella stazione di Varzo (in Valdossola), a pochi chilometri dal confine con la Svizzera e dall’ingresso della Galleria del Sempione. Trasporta un carico di 60 tonnellate di tritolo distribuito in 1500 casse. I tedeschi, per non lasciare il controllo agli alleati della galleria che unisce Italia e Svizzera, decidono di farla saltare in aria.
Ai partigiani il compito di impedire un attentato ad una via di comunicazione che rischierebbe di tagliare l’Europa in due e di isolare buona parte del nord Italia. Il tempo è poco, e i rischi elevati. Non è possibile nemmeno far brillare il treno in stazione per non radere al suolo un intero paese e chiudere il capitolo della guerra con una strage di proporzioni immani.
Ma il tutto va a buon fine. Altrimenti non saremmo qui a raccontarla con leggerezza. Un manipolo di eroi, si sarebbe detto allora, nelle poche ore notturne riesce nell’intento dei sabotare il carico con un’azione rapida e coraggiosa di cui non si trova traccia se non su poche pagine di qualche libro di storia locale o nella memoria dei più anziani.
Che differenza c’è tra un’operazione militare di questo tipo e le tante di cui è stata capace di raccontare la cinematografia americana del dopo guerra esaltando i valori della propria civiltà? Soprattutto se classifichiamo questo avvenimento fra i tanti che hanno costellato il cielo buio dell’ultima guerra. E quante altre ancora se ne potrebbero raccontare di pari valore ideale e di fascino per l’azione?
Se pensiamo al secolo scorso (e in modo particolare alla sua prima metà, quando ancora la Storia veniva raccontata e tramandata con lo strumento ormai scomparso della tradizione orale) quante storie ci troviamo di fronte intrise di emozioni più diverse, vissute sulla pelle, o raccolte in un passaparola capace di fare a meno dell’aiuto dell’analisi dello storico per avere una loro credibilità. Storie da cui emergevano le caratteristiche di un’epoca dai grandi mutamenti, dello scorrere di un nuovo pensiero politico ed economico partecipato ad ampi livelli di vita popolare, e di un grande disordine sociale spalmato dalle vicende del nazifascismo e della guerra che investiva in tutta la sua violenza non solo più il soldato in trincea ma la vita quotidiana sotto il tetto di casa. Storie dove già si intrecciava il comune destino europeo. Parliamo di anni di grandi conflitti sociali, grevi di contraddizioni, di dinamismo e movimento di idee, da qualunque parte si decida di scegliere il punto d’osservazione.
Sono stati anche anni oscuri, come oscuri sono tutti gli anni trascorsi sotto i regimi dittatoriali. Anni che hanno creato i presupposti per nuove tenebre che il passaggio alla vita democratica in Italia non ha dissolto molto in fretta, se si pensa ai troppi morti di piazza, allo stragismo, al terrorismo, ai servizi segreti deviati, al connubio tra malavita organizzata e mondo della politica, traffico d’armi e contrabbando di droga nei rapporti internazionali di un’Italia centro di smistamento degli interessi del mondo dell’est e dell’occidente.
Eventi di cui ci siamo scordati in fretta, quasi allontanati da noi per non voler ricordare ciò che è stato. Momenti della nostra storia di cui non siamo stati capaci, anche in campo letterario o cinematografico, di prendere l’anima, di catturarne l’aspetto più epico, magari anche quello avventuroso, perché no? Come strumento per consegnare alle generazioni a venire tutto un passato. Per ridipingere quei tratti della storia che ci hanno portato alla nostra attuale identità democratica. Renderli parte integrante della nostra cultura e della nostra capacità di comunicare
Così, il mondo dell’editoria è stato invaso dai grandi trattati di saggistica che da sola non è stata capace di ricostruire identità perdute degli umili, di chi ha sofferto per un’idea o per una appartenenza religiosa. Sia prima che dopo lo spartiacque del 25 aprile erano anni difficili per la scrittura narrativa “non allineata”, incapace di essere strumento reale per sottolineare le piccole profondità collettive, oppure di riflettere sul caos e sui momenti scuri, riordinando tracce, percorsi, episodi nel tentativo di ricostruire dinamiche e gerarchie degli avvenimenti.
A parte qualche sporadica presenza, la capacità di narrare attraverso i suoi mezzi più popolari, scrittura e cinema, è rimasta soffocata. Un silenzio che va a togliere forza e personalità a una fetta di storia recente del nostro paese. Un silenzio che ammazza il fascino di quegli anni e dei suoi protagonisti e allo stesso tempo non aiuta l’analisi storica che trova anche nel quotidiano narrato il valore primo per un’interpretazione.
Quei trent’anni che cambiarono il volto dell’Europa meritano di essere conservati nel ricordo, attraverso le loro tracce e le loro testimonianze. Sono le emozioni che sa regalare un argomento ancora aperto, vivo, inevitabilmente legato ai sentimenti e alle idee che ogni autore è capace di sviscerare e mettere in campo, inserendosi negli ingranaggi stessi della storia e aggiungere un mattone al grande muro della memoria, per non dimenticare, di continuare a scoprire e conoscere le nostre radici più profonde, anche quando affondano nel dolore e nella sofferenza.
Oggi come oggi, con i tempi che corrono, non sembra questione di poco conto e di sicuro male non fa.