H24 [Lo Straniero]

marenzana_angelodi Angelo Marenzana

Una volta c’era Tribuna Politica, l’immobile passerella in bianco e nero degli allora (pochi) segretari di partito ripresi da camere fisse, mezzi busti accanto al simbolo di partito, quasi tutti con occhiali a lenti spesse e grandi montature a nascondere metà del viso. A volte, li si poteva incontrare sulla poltrona di qualche scarno studio televisivo per rispondere a domande (credo) pilotate come nella miglior tradizione dell’informazione di casa nostra (giusto per non far circolare l’idea che una volta le cose andassero meglio di oggi). Quasi nulli i dibattiti sui canali RAI, poche polemiche pubbliche, con i giornali spesso e volentieri a segnare la fine di un governo. Nulla filtrava all’esterno della loro vita privata. Vizi e virtù erano tenuti sotto controllo. E i panni sporchi di partito venivano lavati tra segreteria e correnti senza intontire le nostre menti. Con la complicità dell’assoluta riservatezza di militanti fedeli come cani da guardia.

Poi, arriva la concorrenza televisiva. L’etere si espande. Sul grande schermo,Tribuna-Politica qualcosa cambia nell’idea e nella formulazione dei programmi video. Non so identificare il punto di svolta, a occhio e croce potrebbe coincidere con il primo sventolare di tette nude nelle trasmissioni di mezzanotte. I barbari sonnolenti all’orizzonte si risvegliano, il politico assume il ruolo di uomo di mondo, alcuni addirittura in simboli da discoteca e la comunicazione veleggia oltre il palco del comizio di piazza. I barbari sono pronti a lanciarsi al galoppo in una feroce quanto rumorosa corsa finalizzata a occupare ogni spazio televisivo. E oggi siedono ovunque brilli la lucetta rossa di una telecamera accesa, come lanzichenecchi che si gustano il saccheggio stravaccati nei palazzi reali conquistati. Come una cancrena in continua espansione, dagli spazi serali dei cosiddetti talk di approfondimento, siamo ormai alla presenza a ogni ora del giorno e della notte.
H24.

Si possono incontrare quasi sempre le facce più note del panorama di eletti, con qualche occasionale new entry, ma già esperti nel sommergerci di chiacchiere, nel sostenere il nulla così come le laceranti contraddizioni che si sospetta possano essere consapevoli prese per il culo studiate a tavolino.
Tema? Qualunque va bene. Il filo conduttore è uno solo. Nessuno gradisce essere interrotto, mentre è indaffarato a sostenere una propria tesi già ripetuta all’infinito in una delle mille occasioni precedenti, a parlare di se stessi e di quanto sono bravi, a dire che forse non si è fatto abbastanza (perché sono pure saggiamente critici), che gli altri però sono peggio, a vantare proposte per la ripresa, che si sta lavorando per mettere un freno alla disoccupazione giovanile, per arginare costi della politica per inventarsi leggi elettorali e quant’altro. Un copione che si ripropone da anni. Soloil fantastico The Producers, a Broadway ha avuto un numero di repliche maggiore.
Mentre un intero paese si sbriciola, fisicamente e metaforicamente.

Nell’immobilismo putrescente della nostra vita politica loro riescono solo a intendere la democrazia come una declinazione dell’attack che li tiene incollati ai propri ruoli, e nell’avere giornalisti che facciano da cassa di risonanza alle loro idee,e alle loro (poche) scelte e alle loro (tante) promesse. Stesse parole, stessi accenti. Slogan. Sorrisi di superiorità o benevolenza. Liti studiate. Odore di generalizzata perversione.

Prima domanda: dobbiamo assistere ancora per molto a queste sceneggiate da studio televisivo, peraltro pagate con i soldi del nostro canone che in realtà è una tassa di possesso sull’apparecchio televisivo? La domanda la rivolgo ai giornalisti, non tanto ai politici. E mi sembra di essere nel posto giusto per fare qualche riflessione in materia. Possiamo dire basta con questa sconcezza che ci ferisce più di una lama di rasoio?

Seconda domanda: perché i professionisti dell’informazione continuano (a livello locale così come a livello nazionale) a invitare a dibattiti e a ospitare in interviste i rappresentanti della politica quando si sa benissimo che i problemi non verranno risolti? Perché i nostri eletti sono saggi? Ma vista l’attuale situazione dell’Italia (e pure alessandrina nel suo piccolo) non mi pare che ci troviamo di fronte a tanta saggezza. E la stessa risposta vale anche alla domanda: perché hanno qualcosa da dire o da proporre? O forse perché è più facile, per un giornalista, non spremersi troppo e registrare chiacchiere piuttosto che (a tutti i livelli) fare cronache accurate, scavando nel fondo delle scelte, facendo emergere dati, fatti, pur con qualche opinione di corredo. Mettere il naso dove non si dovrebbe, anziché limitarsi a registrare il dato di fatto ufficiale e ritornare all’infinito su banali polemiche costruite ad hoc per guadagnare tempo e nascondere magagne.

In questo momento difficile c’è una fetta di società che si interroga e forse è il momento che il microfono passi la mano. Vorrei dei giornalisti pronti a scavare nel tessuto sociale, là dove spesso l’informazione non arriva, ed esplorare nuove verità, nuovi punti di vista, nuove energie e scovare ricostituenti per una società che deve tornare a drizzarsi in piedi. Inventarsi un nuovo percorso e nuovi protagonisti. Senza più farsi guidare dalla politica attuale, troppo spesso rappresentata da soldatini senza spirito critico, e dai tempi che essa impone indipendentemente dai problemi urgenti. Serve un cambio di registro e un cambio di passo. Politica è cultura, e cultura è inventiva. E in un riodo di crisi l’inventiva può essere un farmaco potente. Nulla a che vedere con la stagnazione. Con la logica dello spremere con tasse, balzelli e sanzioni solo per fare cassa. Servono cambiamento e nuove regole. Rispetto per il lavoro e per il cittadino. Nella nostra città come ovunque. Altrimenti anche la classe dei giornalisti rischia di venire accomunata per complicità alla pochezza dei politici e alla vacuità dimostrata dai tecnici.
Un’incompetenza generalizzata, una disonestà intellettuale (che non sempre si ferma solo li) che può travolgere un’intera società. Qualcuno deve incominciare a voltare pagina. E al giornalista dovrebbe riuscire bene.