di Danilo Arona
In più di una zona contadina nell’Astigiano e nell’Acquese è viva la credenza nei “libri” magici, il cui possesso è decisivo nell’eterna tenzone tra il bene e il male. Come ci confermò a suo tempo Luigi Rapetti, il più famoso cacciatore di “masche” di quelle zone, il “Libro del Comando”, dalla copertina nera, è quello appunto delle streghe, di quelle donne cioè che nella tradizione esoterica rurale, una volta venduta l’anima al diavolo, hanno acquisito “il Potere”, riuscendo così a influenzare con sortilegi, fatture e stregonerie la vita del prossimo. Ovvio, per chi ci crede.
Il termine “masca” proviene da “maschera” ed è quindi legato al concetto di trasformazione, per il quale la strega non soltanto ha l’abitudine al travestimento, ma è capace anche di diventare un animale. Lo stesso Rapetti mi raccontò di avere visto caproni, gatti e pecore dalle zampe nere che altro non erano che masche al lavoro. «Chiunque può diventare masca, anche un uomo, e persino un prete. Basta avere voglia di vendere l’anima al Diavolo per entrare in possesso del Libro del Comando e si riescono a superare le barriere di sesso, di età e di salute. I poteri demoniaci del Libro sono assoluti.» Molti nelle Langhe ne sono convinti, anche se sono pochissimi quelli che ne parlano apertamente. Di certi argomenti nelle colline piemontesi ancora oggi è meglio tacere.
Dicevamo che la copertina del Libro è nera. Personalmente non l’ho mai vista, ma così si dice. In compenso il Rapetti diversi anni fa mi mostrò un Anti-Libro, dalla copertina rossa, senza alcun titolo e dal contenuto pieno zeppo di esorcismi laici tradotti da un antico manuale tedesco del Medio Evo. Leggerne alcuni passi, mentre nell’ambiente si diffondevano le fumigazioni di speciali candele brasiliane fatte con una miscela di cera e ossa di morto, produsse energie incredibili che fecero vibrare come per un terremoto la mobilia e tutte le bottigliette nello studio di Luigi.
Di masche degne di citazione in tutta la vasta zona battuta dal Rapetti una decina di anni fa se ne menzionavano parecchie. Non lontano da Bubbio si ricordava ad esempio la Sabrota, una strega che per la sua considerevole statura era detta anche la Longia. Bruttissima, come solo certe streghe sono in grado di essere, Sabrota era dedita ai sabba, molto pratica di erbe e filtri ed esperta in ogni tipo d’incantesimo. Una delle sue specialità era quella di trasformarsi in gatto. La leggenda narra che un soldato di epoca imprecisata attraversava i boschi vicino al paese durante la classica notte buia e tempestosa e vide la strada sbarrata da un enorme micio dall’aspetto minaccioso e dagli occhi di brace. L’animale fece un salto verso di lui, ma l’uomo non si lasciò vincere dalla paura e, sfoderato un coltello, colpì il felino ad una zampa. Il ruggito minaccioso si trasformò in un miagolio straziante ed il gatto fuggì nel buio del bosco. Il giorno dopo il medico del paese fu costretto a recarsi dalla Longia per curarle un braccio ferito.
Quando la Sabrota morì, tutti si rifiutarono inizialmente di portare la bara al cimitero. Dopo accanite discussioni, tre uomini, decisi a liberarsi di tanta maledizione, provvidero al trasporto, ma si accorsero durante il tragitto che la bara era stranamente leggera. Una volta giunti al cimitero, la aprirono di nuovo e costatarono con orrore che era vuota.
Rapetti mi confessò: «Ogni tanto incontro la Sabrota nei boschi. E’ inconfondibile tanto è lunga.» Mi raccontò pure che la Sabrota non si sognava neppure di cacciarla.
Occhio allora se andate a girovagare sulle colline tra Bubbio e Monastero. Le leggende, soprattutto la notte, tornano a rivivere.