Della ‘ricca’ mostra di Valenza ‘Tesori d’Arte’ a Villa Scalcabarozzi, promossa dal Comune di Valenza e sponsorizzata dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Alessandria e Fondazione Cassa di Risparmio di Torino (e aperta fino al 5 gennaio!) si è già molto scritto e parlato, vista l’intensa raccolta proposta in onore del ‘bello’ e della generosità e passione dei collezionisti, e visto il successo di pubblico rilevato già a poche settimane dall’apertura.
Oltre cento opere suddivise in tre ‘sezioni’ che evidenziano il fascino di un patrimonio d’arte raccolto nei decenni dalle famiglie valenzane, offrendo una chiave di lettura per conoscerlo ed evidenziando i forti legami esistenti tra la vita culturale della città e le vicende dell’arte italiana tra la fine dell’Ottocento e gli anni Duemila fino ad oggi. La raccolta è vasta ed eterogenea e mostra collezioni diverse tra loro per tipologia di soggetto e periodo storico.
Grandi autori (Boldini, Induno, De Nittis, Cassinari, Campigli, Fontana, Schifano, Guttuso, De Chirico) e molti altri tra i quali vorrei evidenziare come ‘fil rouge’ gli artisti del territorio: Angelo Morbelli, Angelo Barabino, Carlo Carrà.
Nella sezione riguardante la pittura italiana del secondo Ottocento e la ricerca sul vero, spicca il bellissimo dipinto di Morbelli intitolato ‘La sedia vuota’ del 1903.
L’artista, nato ad Alessandria nel 1853 iniziò a frequentare gia nel 1867 l’Accademia di belle Arti a Brera e mostrò fin dagli esordi quel realismo descrittivo e gli interessi umanitari e sociali che propose in tutte le sue opere. Fece parte infatti di quella generazione che, leggendo Zola e Verga, aveva maturato una diversa consapevolezza e funzione dell’arte come civile impegno e come testimonianza. Nel 1890 aderì al Divisionismo, e con la tecnica basata sull’accentuazione dei valori d’atmosfera creò i suoi capolavori, restringendo i temi a malinconici interni ispirati alla triste condizione dei vecchi. Per decenni Morbelli tornò al Pio Albergo Trivulzio (ricovero per anziani), cogliendo volti e storie e rappresentando le vuote scene dell’abbandono e della solitudine, costruendo una pittura impegnata che lo accostò a Millet ma anche al romanzo del verismo in Italia e alle tensioni dei primi socialisti.
Sempre nella stessa sezione vi sono alcune opere del tortonese Angelo Barabino, nato e vissuto a Tortona (1883-1950).
Per Barabino tutto era sole e luce, persino nella nebbia, tra gli alberi brulli dell’ inverno, sulle case piene di neve. Il sole, in quel periodo tra le due guerre rappresentava la speranza per il futuro. Il sole faceva parte della cultura socialista politica e pittorica dell’artista, formato all’inizio del Novecento tra le tessere brillanti del Divisionismo. Allievo di Pellizza da Volpedo, aveva acquisito tantissimo dal grande artista. La grande poetica di Barabino si coglie nei paesaggi che ripropongono i luoghi amati, i pascoli, la campagna tortonese, i paesaggi delle Prealpi, il mare e le colline liguri. Sono in mostra: ‘Fanciulla innamorata’ (1910-1913) ritenuta dal prof. Mauro Galli, esperto dell’opera di Barabino, uno dei venticinque dipinti esposti ad Alessandria nel gennaio del 1914 presso il Caffe Floré. Sole al tramonto (1910-14), Pascolo a Giaveno e Contadini dei campi.
Affianca le opere di Barabino in mostra una poesia di Giovanni Camerana, ‘Il pioppo nell’azzurro’:
‘Il pioppo nell’azzurro è un vivo tremolio di grigio e argento; fa in mezzo ai rami il vento lento sussurro……”
Nella sezione dedicata al Secolo breve, il Novecento nell’Arte, campeggiano invece due opere, due ‘marine’ del grande Carlo Carrà. Nato a Quargnento nel 1881, morì a Milano nel 1966. Erede della tradizione Ottocentesca prese parte a tutte le vicende del rinnovamento artistico dell’epoca nuova, nel Novecento, nei valori plastici ma soprattutto trovando e completando il proprio percorso artistico con il ‘realismo magico’.
Dagli esordi futuristi alla metafisica di Giorgio De Chirico, Alberto Savinio, Giorgio Morandi, Filippo De Pisis per approdare al recupero dei maestri della tradizione: Giotto e Masaccio. Dalla nitidezza delle forme classiche trae origine l’inquietudine moderna. Il paesaggio ordinario, riprodotto con volumi netti, essenziali e semplici appare pervaso da un ‘mistero insondabile’.
Gli alberi dipinti da Carrà sono cilindrici e dai contorni netti. Il mare appare compatto come una lama. Tutto il paesaggio è immerso in un ‘enigmatico silenzio’, in una immobilità che pare sospesa. La figura umana non compare ma aleggia nell’aria, segnalata da una traccia, da un oggetto abbandonato, da una casa deserta. In mostra due bei paesaggi marini: Meriggio di Settembre (1941) e Marina (1962). Il mare è uno dei soggetti più amati da Carrà a partire da quella striscia azzurra ed infinita che taglia il suo celeberrimo ‘Pino sul mare’ del 1921, con il quale lo stesso artista dichiara di ‘cercare una rappresentazione mitica della natura’.
I versi di Giuseppe Ungaretti accompagnano le opere dicendo: “Vi arriva il poeta. E poi torna alla luce con i suoi canti. E li disperde. Di questa poesia. Mi resta. Quel nulla. Di inesauribile segreto. (Il porto sepolto).