Scampato il pericolo alluvione (o almeno speriamo!), guardiamo avanti, per cercare di capire cosa ci aspetta tra qualche giorno, al termine dei rituali festeggiamenti di fine anno.
Incontrando nelle scorse settimane imprenditori e operatori del mondo del commercio e dei servizi, la chiave di interpretazione comune è stata: scetticismo, prudenza, attesa degli eventi. L’ottimismo di facciata e gli slogan della classe politica nazionale non contagiano più: e del resto nessuno dei nostri attuali politici, neanche Renzi, sa incantare, sedurre e in parte anche ‘coglionare’ gli italiani come faceva Silvio, l’irripetibile. E son pure cambiate, in peggio, le condizioni generali percepite, per cui oggi forse non ci riuscirebbe neppure lui.
Sul nostro territorio, poi, apriti cielo. L’economia privata arranca, i negozi chiudono a raffica, non poche aziende piccole e medie fanno i salti mortali per pagare, a rate, gli stipendi ai dipendenti. Sul tavolo degli inputati, in primis, le banche, che hanno completamente chiuso i cordoni del credito, vincolate del resto, a loro volta, da direttive sempre più stringenti.
In tutto ciò, l’economia alessandrina però regge, grazie a risparmi dei nonni, pensioni e stipendi pubblici. Sono questi i veri ammortizzatori sociali che finora hanno comunque garantito il paradosso dell’equazione “crisi nera più benessere di massa”. Ma fino a quando? L’aspetto più preoccupante, diciamocelo, è la mancanza di un vero progetto di rilancio territoriale, capace di articolarsi in una serie di direzioni.
La famosa cabina di regia, di cui più volte si è parlato nel corso del 2013 nel dibattito pubblico locale (e anche nelle interviste su questo magazine) è rimasta quel che era, ossia lettera morta. Un ottimo proposito da convegno. E mentre i sindacati avvisano “la disoccupazione crescerà, e gli ammortizzatori stanno finendo”, gli imprenditori, se chiedi loro di azzardare una previsione, sorridono amaro e rispondono: “riparliamone a marzo”.
L’impiego pubblico, infine. Universo parallelo rispetto al mondo reale, rimane quel che era un anno fa, e due, e tre. Nessun segnale di cambiamento vero, nessun recupero di efficienza. Solo la linea Maginot di un vecchio modo di intendere l’assistenzialismo diffuso (in passato anche clientelare: oggi solo resistenziale). Ma è un fronte destinato a modifiche strutturali, come le ultime crepe (vicenda Tra/Amag, fallimento Amiu, trasformazioni in corso in Provincia e nelle comunità montane) mostrano ampiamente. L’impressione è che lo abbiano capito tutti, a partire dai diretti interessati. Anche se si fa resistenza passiva, si vive di proroghe, e ogni tanto qualcuno ha qualche alzata di ingegno da prima repubblica, del tipo “prendiamo il personale qui, e lo spostiamo là, e il gioco è fatto”. Ma è un gioco vecchio, vecchissimo, che ha logorato il Paese, e gli italiani. Urge davvero cambiare registro: o anche decisori?