Come si fa a non essere d’accordo con Renzi quando propone una nuova formula contrattuale per i nuovi assunti, che vada oltre la selva infame dei cococo cocopro e via dicendo? Formule contrattuali ‘atipiche’, queste, ‘lanciate’ tra gli altri (mi ricordo…) da Massimo D’Alema più o meno 15 anni fa come uno strumento straordinario per modernizzare il mercato del lavoro. E magari potevano anche esserlo, se non fosse stato consentito di interpretarle come uno strumento per ‘mascherare’, in tanti settori, lavoratori abusivi, che tali rimasero nei diritti, e nei livelli retributivi. Insomma, un fallimento durato almeno 15 anni, forse più, sulla pelle di milioni di lavoratori di serie B, rimasti tali. E il centro sinistra fu tra gli aperti sostenitori di quell’aborto di riforma del mercato del lavoro, che oggi Renzi vorrebbe (giustamente) mandare in soffitta.
Ma per sostituirlo come, e con cosa?
Il Job Act renziano, che trovate qui riassunto, parte da un presupposto inconfutabile: in Italia le assunzioni a tempo indeterminato sono ormai rarità, o estrema minoranza. Per tante ragioni, non ultima certamente il fatto che sono consentite strade alternative.
Per cui, dice Renzi, tagliamo la testa al toro, e diamo la possibilità a tutte le imprese di assumere, per i primi tre anni, i lavoratori senza i vincoli dell’articolo 18: invero già piuttosto allentati ai tempi suoi da madame Fornero, ricordata dai più per la lacrimuccia facile, e dagli addetti ai lavori come consorte dell’economista Mario Deaglio.
Non solo: tali assunzioni prevederebbero, sempre per i primi tre anni, contributi previdenziali a carico dello Stato. E non sarebbe poca cosa, è evidente.
Ma poi che succederebbe? Attenti perchè, esattamente come per i cocopro e cococo, è nei dettagli che si nasconde il diavolo. Ossia nelle modalità applicative di qualsiasi riforma, anche la più meritoria. Quindi: le aziende potranno liberamente non confermare i neo-dipendenti (non necessariamente giovani, peraltro) entro i primi tre anni, e ricominciare il giro con nuovi precari? E’ chiaro che questo significherebbe (almeno per professionalità generiche, in cui l’esperienza non rappresenta poi un valore aggiunto così determinante) un altro modo per regolarizzare la precarietà, e consentire sostanzialmente sgravi continui, sulle spalle dello Stato, e dei lavoratori dipendenti di nuovo ingresso.
Altro aspetto da non trascurare, la disparità che si creerebbe in azienda tra i ‘vecchi’ garantiti dall’articolo 18, e i nuovi ‘parìa’, che le garanzie le sognano soltanto. Anche se è vero che già il prevedere, per chi rimane senza lavoro, una formula di sussidio (comunque lo si chiami) di 24 mesi, esteso a tutti, sarebbe un altro passo avanti rispetto alla jungla di oggi. Ma tra quei tutti ci sarebbero anche tante partite Iva alla canna del gas, liberi professionisti, commercianti e quant’altro? Non ci è chiaro.
Ultima annotazione: e il pubblico impiego? Continuerà a rimanere un’oasi da prima repubblica, come oggi di fatto è, mentre tutto il resto del Paese naviga a vista nei miasmi della seconda, sognando invano la nascita della terza?
Guardate che questo ultimo aspetto non è roba da poco: e, data la qualità delle truppe che Renzi si ritrova sui territori (il nostro compreso), si tratta di uno snodo su cui il segretario del Pd potrebbe incagliarsi e ‘logorarsi’ parecchio, in questo 2014 alle porte. Insomma, che Renzi davvero diventi premier, e sia chiamato a dimostrare con i fatti cosa sa fare, a partire appunto dalla riforma del lavoro, è questione ancora tutta da chiarire. E per niente scontata.