Chi ha letto Il Citazionista di ieri (Matteo, l’erede)? Spero tutti voi, perché come sempre meritava, e colpiva nel segno. Quanti erano i renziani alessandrini sei mesi fa, si chiede Andrea Antonuccio, e quanti sono ora? Questo vale per i simpatizzanti e i potenziali elettori del Pd ‘targato Matteo’, naturalmente, ma assai più per l’apparato del partito, che solo un anno fa si dichiarava, dalle nostre parti almeno, bersaniano senza se e senza ma, e che ora è stato fulminato sulla strada di Firenze. Niente di strano: è l’effetto ‘trascinamento’, mixato a quel po’ di opportunismo che c’è in politica, come in tutte le attività umane.
Eppure, più ci penso, e più una convivenza di medio lungo periodo tra Matteo Renzi, e il suo bagaglio di valori e proposte ‘liberal’ (che ora però dovrà dimostrare di voler realizzare concretamente), e la burocrazia di territorio (alessandrino come bolognese o palermitano, per dire) di estrazione Pci e post Pci mi pare impossibile nei fatti.
E’ una questione di dna, di cromosomi politici, forse addirittura ontologica. E non credo alla teoria “il Pd, come tutti i partiti di potere, è un comitato d’affari, e finché ci saranno gli affari, reggerà”. Non che, naturalmente, si debba ignorare che la politica è ‘sangue e merda’, come diceva il socialista Formica tanti anni fa: e pure affari, appunto. Però non è vero che la dimensione dei valori, il bagaglio di idee (e magari di retorica politica) non contano. Pesano eccome, ed è lì che Matteo Renzi si gioca la sua partita più difficile: essere davvero il leader maximo di un partito con una forte componente di sinistra classica, senza arrivare dallo stesso ambiente, dalle sezioni, da radici comunque marxiste, per quanto annacquate, tradite o quel che volete voi. E portare tutto il partito su posizioni decisamente diverse, in tanti settori nevralgici.
Insomma, rimaniamo convinti che Renzi, con buona parte dell’apparato del Pd (compresi molti esponenti alessandrini) non c’entri assolutamente nulla, e sia anzi culturalmente davvero figlio di Berlusconi, e delle sue tv, assai più che di Berlinguer, per dire. Sicuramente Matteo è ‘figlio’ di Silvio nel modo di comunicare e di scherzare con disivoltura davanti alle telecamere. Ma anche buona parte delle sue proposte politiche rischiano in realtà di entrare in conflitto con il bagaglio politico-culturale di sinistra: dall’alleggerimento della macchina pubblica (a partire dalla cancellazione delle Province) alla riforma del lavoro privato, per citare due pilastri essenziali. Vero che Matteo Renzi, che è scaltro, recupera per certi versi in corner dichiarando a gran voce, ad esempio, di voler potenziare la scuola pubblica e valorizzare il ruolo sociale dell’insegnante, oggi bistrattato ai limiti dell’offesa. E lì, in quel tessuto socio-professionale, il Pd pesca voti a mani basse, forse ancor più che nell’impiego pubblico in genere.
Eppure, guardate, i prossimi mesi saranno decisivi: o Renzi riesce a prendere davvero le redini del Pd, approvando una nuova legge elettorale con chi ci sta (non mi è chiaro cosa accadrebbe se le camere fossero sciolte senza sostituire il Porcellum ormai delegittimato: si voterebbe con il precedente Mattarellum?), e tornando alle urne. Oppure potrebbe davvero ‘cuocere a fuoco lento’, come già teorizzato dal professor Bruno Soro nel suo editoriale di qualche settimana fa. E già qualcuno, tra gli esponenti Pd, ci ha sussurrato: “mi piacerebbe, dal 2015, un vero governo di centro-sinistra, guidato da Letta”. A buon intenditor….Insomma, o Matteo fa fuori l’apparato, o l’apparato fa fuori lui.
Il tutto, naturalmente, nel contesto di crisi e precarietà generale che conosciamo, del quadro politico e del Paese. Voi che ne pensate? Cosa succederà?