In queste ore è la Corte Costituzionale a valutare la legittimità o meno del Porcellum (la legge elettorale vigente per le elezioni politiche: in cui in sostanza gli eletti sono scelti dai vertici dei partiti, e non dagli elettori). E pazienza se da anni tutti si dicono ‘schifati’ da suddetta legge: nei fatti, l’unica possibilità che sia abrogata è che lo dicano i giudici, rinviando magari l’inetto sistema alla normativa precedente, detta ‘Mattarellum’: dal nome del suo promotore (Sergio Mattarella), e non per richiamare un simbolo che pur la gran parte di italiani utilizzerebbe oggi volentieri nei rapporti con la politica.
Del resto, il tira e molla sull’Imu, quello sul futuro delle Province, ma persino le infinite polemiche sull’inversione del senso di circolazione di quattro vie di qualunque centro storico dimostrano che siamo un Paese in cui tutti, anche i progressisti (e forse soprattutto coloro che amano pensarsi tali), sono per la conservazione ad oltranza dello status quo. O, se proprio l’esistente risulta essere inutilizzabile per manifesto deterioramento, di solito la soluzione è tornare indietro, al buon vecchio tempo passato. E pazienza se, all’epoca, anche quello ci pareva, vivendolo, una ciofeca: come il buon vino, il passato diventando tale migliora nel nostro ricordo, tanto che lo preferiamo quasi sempre ad un presente di decadenza e mediocrità.
Ma non è vero che sia destino inesorabile dell’umanità vivere con il collo storto, girato all’indietro. Oppure litigare in maniera sterile mentre si affonda nelle sabbie mobili. Tutto ciò è tipico, invece, di società vecchie e in decadenza, in cui prevale l’istinto di autodifesa rispetto alla voglia di progettare, di costruire e innovare.
E allora, nell’Italia del 2014, si potrà finalmente cambiare passo, e guardare avanti? Le famose riforme (della politica, della giustizia, del lavoro, della costituzione “più bella del mondo” e via dicendo) si potranno finalmente fare, o continueremo a vivere in questa sorta di finto galleggiamento, che è in realtà annegamento lento (ma neanche più tanto) e inesorabile?
E le riforme devono per forza significare cancellazione o drastico ridimensionamento dei diritti esistenti, o possono invece essere lo strumento con cui guardare verso un nuovo welfare, più moderno ed efficiente del carrozzone di oggi, costoso e poco incisivo? In realtà gli strumenti sono sempre asettici, né buoni né cattivi: dipende da come li si usa. Il reddito di cittadinanza, ad esempio: già ci scappa da ridere all’idea di come verrebbe utilizzato, ‘all’italiana’. Anzi, teneteci informati, che la formula ci interessa assai: “perchè ccà nisciun è fess!”, anche se in verità non si capisce come un Paese di furbissimi possa essersi ridotto così!