Piero Mandarino è stato membro del Consiglio Direttivo del Parco del Po e dell’Orba dal 1987 (quando sul Po vi era solo la piccola Riserva della Garzaia di Valenza) al 2010 e vicepresidente dal 1992 al 2006 dapprima in rappresentanza dei Comuni dell’Orba e in seguito delle Associazioni Ambientaliste. Dal 1994 al 2000 è stato membro della Giunta esecutiva del Coordinamento Nazionale Parchi.
La Riserva Naturale nasce nel mezzo di quel periodo carico di speranze (dal punto di vista legislativo) che va dalla metà degli anni ’80 ai primi anni ’90.
Erano gli anni della legge 431 Galasso, della legge quadro nazionale sui Parchi 394, della 183 sulla difesa del suolo che istituiva le Autorità di Bacino.
Era di quel periodo la Relazione della Commissione Interministeriale che esaminò i progetti di intervento sul Magra e che a larghissima maggioranza li giudicò inutili e dannosi: quel documento fu un’ autentica pietra miliare per coloro che nel paese si battevano per difendere i fiumi.
La Regione Piemonte (che nel panorama nazionale, con i suoi Enti di gestione, appariva come un vero punto di riferimento) aveva già da anni avviato la politica delle Aree Protette considerando questi territori particolari come tasselli della più vasta pianificazione regionale e non a caso l’Assessorato alla Pianificazione Territoriale copriva le due competenze. Successivamente i Parchi sono stati accorpati al Turismo, poi al Commercio e più recentemente al Personale e attività estrattive.
Piero Mandarino, come venne accolta la legge istitutiva della Riserva sull’Orba?
L’inizio, nel 1987, non fu facile, vi era una certa diffidenza forse alimentata da chi non gradiva controllori sul territorio. C’era addirittura chi temeva di perdere la possibilità di coltivare i terreni agricoli. Tuttavia nonostante tutto, anche grazie alla passione e alla lungimiranza di un Presidente come Giorgio Assini, la riserva venne ampliata due anni dopo andando a toccare, oltre al tratto di torrente nei Comuni di Bosco e Casalcermelli, anche il territorio di Predosa.
Nel 1991 per venire incontro alle preoccupazioni sul pericolo di esondazioni in concomitanza delle piene dell’Orba il Parco si fece carico di uno studio idraulico sul tratto di torrente interessato dalla Riserva Naturale.
L’ing. Giuliano Cannata (all’epoca docente di pianificazione dei bacini fluviali all’Università di Siena) propose in sostanza, per una maggiore sicurezza, la realizzazione di nuovi argini con l’eliminazione o l’abbassamento di quelli esistenti per un maggior sfogo delle piene (questi argini esistenti, sormontati e danneggiati dalla piena del 1977, vennero riparati nello stesso sito).
Riguardo all’eterno tema della ghiaia (che un luogo comune costantemente alimentato considera materiale da rimuovere) scrisse: “In merito ai limitatissimi depositi ghiaiosi frutto di aggiustamenti geomorfologici, è chiaro che essi debbono considerarsi intoccabili, come minima preziosa riserva nelle attuali condizioni di trasporto solido zero, almeno finché non sarà raggiunto un profilo di equilibrio del trasporto in corrispondenza delle traverse e finché non saranno cessati gli effetti delle disastrose escavazioni in alveo.”
Nel 1997 il Parco riuscì ad evitare la sostituzione delle prismate esistenti (e integre) a protezione di lunghi tratti di sponda dell’Orba (e quindi della vegetazione spondale) con massi naturali.
Fu lo stesso Ing. Reali allora Presidente del Magispo, giunto da Parma, a modificare sostanzialmente il progetto destinando i fondi stanziati al consolidamento e alla manutenzione di opere esistenti.
A che punto siamo attualmente con la pianificazione lungo l’Orba?
La necessità di restituire spazio al torrente per contenere le piene più rilevanti venne successivamente ribadita dall’Autorità di Bacino sei anni dopo lo studio del Parco: prima il Piano Fasce Fluviali (1997) e poi il Piano di Assetto Idrogeologico (2001) disegnarono nuovi limiti per le aree di espansione. In sostanza golene più ampie.
Su questi piani le Organizzazioni agricole e i Comuni presentarono osservazioni critiche paventando, tra l’altro, un deprezzamento dei terreni. E’ più che lecito evidenziare incongruenze ed errori che, data la vastità di piani che interessano tutto il bacino padano, si possono riscontrare ed è giusto proporre correttivi; diverso sarebbe il rifiuto della pianificazione per non cambiare nulla o quasi. Sta di fatto che le fasce di progetto del P.A.I. sono ancora oggi sulla carta.
La necessità di una arginatura più lontana dall’alveo inciso è resa evidente in sponda destra tra i Comuni di Bosco e Casalcermelli dove alcuni anni fa una piena erose la sponda facendo franare anche il tratto di argine soprastante ancora oggi interrotto.
Un altro recente documento del 2012 è il Piano di gestione dei sedimenti redatto dall’AIPO, che dal 2003 ha sostituito il Magispo, e che, “sorpresa”, accerta una diffusa e pesante carenza di ghiaia nell’Orba.
In barba ai discorsi da bar sport (che purtroppo echeggiano anche in altri ambienti più seri) l’elaborato “06-01-01R Trasporto solido” riporta testualmente “Il profilo di fondo ha subito in epoca storica recente un processo di abbassamento considerevole, stimato sulla base qualitativa delle osservazioni in campo (affioramento continuo del substrato tra Molare e Ovada, 2-3 m a Casal Cermelli e 5-6 m alla confluenza del Bormida).” Tuttavia, nonostante ciò, questo piano ancora in itinere prevede, tra l’altro, un intervento di escavazione a Capriata e uno spostamento (movimentazione) di materiale dall’alveo attivo alla golena della sponda sinistra per aprire un secondo canale (in Comune di Casalcermelli). Su questi interventi hanno presentato osservazioni il Parco, parte della Minoranza del Consiglio di Bosco e Legambiente.
Anni fa si parlò del Corridoio ecologico sull’Orba e sul Piota, cosa è stato fatto?
La prima proposta venne fatta dal Parco Capanne nel 2004 e nel 2005 venne firmato l’”Accordo di programma per la realizzazione dell’Area di collegamento ecologico-funzionale tra il Parco Naturale delle Capanne di Marcarolo e la Riserva Naturale del Torrente Orba” curato dalla Provincia ai sensi del D.P.R. 8 settembre 1997 n. 357 e Direttiva europea Habitat. Doveva ricucire la naturalità delle sponde di Orba e Piota per unire le due aree che sono anche Siti di Importanza Comunitaria (SIC). Vennero realizzati validi studi specifici (ricordo in particolare quello dell’ENEA che aveva analizzato nel dettaglio le criticità da migliorare). Poi la Provincia intraprese la via del Contratto di fiume allargando la visuale sull’intero e vasto bacino dell’Orba e sul corridoio si attendono ancora interventi concreti. A tal proposito sarebbe auspicabile che con il rinnovo delle concessioni scadute da tempo per il prelievo idrico delle grandi derivazioni si possano almeno mitigare gli effetti delle note magre estive.
Parlando di fiumi non si può non accennare ai recenti disastri in Sardegna. Insegneranno qualcosa?
Il Parco ha da subito cercato di fare informazione scientifica sulla stretta relazione tra fiumi e territorio. Nel 1988 pubblicò un libretto curato dalle Associazioni Ambientaliste dal titolo provocatorio e purtroppo, alla luce dei fatti di oggi, ancora attuale: I fiumi italiani e le calamità artificiali. Successivamente i temi della gestione dei fiumi vennero ripresi sul notiziario L’Informafiume e talvolta su Piemonte Parchi (tutti e due scomparsi con i tagli alla spesa).
C’era la consapevolezza che ovunque, nell’intero paese, il territorio era costellato da varie situazioni legate a specifiche volontà realizzative che evidenziavano lo strappo del rapporto tra i residenti e la coscienza del territorio: la consapevolezza della natura del territorio veniva rimossa in nome di una “valorizzazione” a breve termine e di corto respiro.
Da allora e fino ai giorni nostri abbiamo toccato con mano la crescente vulnerabilità del territorio: a parità di evento di pioggia i danni aumentano con l’aumentare dei beni esposti al rischio ossia dell’urbanizzazione.
Cioè cosa vuoi suggerirci con questo?
Non sono bastati, tra le tante voci, i moniti di Antonio Cederna, di Cannata, dei geologi onesti intervistati dopo i disastri, le dichiarazioni di Roberto Passino Segretario Generale dell’Autorità di Bacino del Po sui cinquant’anni di urbanistica da mettere in discussione, i puntuali articoli di Luca Mercalli e Mario Tozzi, la previsione con largo anticipo, da parte di Giuseppe Sansoni, dell’alluvione di Aulla, espansa nell’alveo del Magra nel rispetto degli strumenti urbanistici che non hanno tenuto conto di una evidente situazione di pericolo.
Dopo le alluvioni in Sardegna LA7 ha mostrato un emblematico filmato relativo ad una accesissima assemblea di amministratori pubblici e popolazione tenutasi nel 2011 in uno dei comuni oggi alluvionati dove tutti si accanivano contro il Piano Regionale di Assetto Idrogelogico che prevedeva vincoli di inedificabilità.
Temo che anche gli ultimi eventi non insegneranno nulla.
Spesso si parla della necessità di una manutenzione dei corsi d’acqua. Quali interventi sarebbero utili?
Premesso che l’asportazione della ghiaia nell’alveo attivo è, per dirla con Passino, “una soluzione solo illusoria” ed è attualmente praticabile solo in rari casi per i notevoli effetti collaterali, e che la sicurezza assoluta non si potrà mai avere ma solo migliorare restituendo spazio ai fiumi, gli interventi di manutenzione potrebbero essere questi:
chiusura degli scarichi fognari abusivi, verifica della funzionalità della rete fognaria di captazione delle acque nere, eliminazione di tutti gli usi impropri dai terreni spondali e dai terreni adiacenti di proprietà pubblica, pulizia di tutti i rifiuti abbandonati nei letti dei fiumi, sulle sponde e aree contigue, contenimento della vegetazione cresciuta in alveo salvaguardando quella di sponda, manutenzione dei manufatti utili e strategici.
Sarebbe una moltitudine di piccoli interventi ma da noi solo i grandi cantieri e gli appalti faraonici sono concepiti come regolatori economici.
Cioè, in sostanza, Piero Mandarino ci ricorda che “chi dovrebbe muovere le pedine le contano” si è preoccupato poco del fiume e delle sue necessità. Abbiamo già visto gravi alluvioni interessare il quadrante sud della provincia con costipazioni che partivano proprio da strozzature (colpevoli) dei fiumi e da scavi indiscriminati che hanno portato un disequilibrio negli alvei. Evidentemente la lezione non è servita. Quindi, prima di tutto, scientificità e trasparenza nelle analisi, sincerità e dettaglio nelle pubblicazioni dei dati, idee chiare al momento degli interventi in alveo, di vera regimazione e di autentica “messa in sicurezza”.
Con questo, e per il momento ci sembra sufficiente, ringraziamo Piero e gli auguriamo buon lavoro.