“Quando una nazione perde il contatto col suo passato, con le sue radici, quando perde l’orgoglio della sua storia, della sua cultura e della sua lingua, decade rapidamente, smette di pensare, di creare e svanisce”. Questa frase di Francesco Alberoni (nella foto in basso) mi fornisce lo spunto per ritornare a parlare della scuola come ho già fatto nelle due precedenti ‘code’.
Infatti le sue parole richiamano fortemente il discorso di Ida Magli, ampiamente citata nell’ultimo mio intervento.
A sostegno dell’assunto Alberoni prosegue: “Nel mercato globale tutto si assomiglia: i centri commerciali, i prodotti venduti, i programmi televisivi, i divi, i modi di vivere. Le grandi imprese monopolistiche fanno invecchiare i computer e costringono tutti a cambiarli quando pare loro. Nessuno può opporsi. Come nessuno può opporsi alla ragnatela dell’euro. Per questo non c’è più una Alta Cultura Europea e italiana, non serve pensare in grande. Arriva tutto già pensato, digerito, omogeneizzato” […].
Concludendo così il suo ragionamento: “Solo chi conserva fortissima la propria identità è in condizione di affrontare il mondo globalizzato, di muoversi e di manovrare in esso senza farsene schiacciare”.
“Italiani, vi esorto alle storie” già diceva per altro Ugo Foscolo, conscio che l’Italia poteva farsi nazione solo recuperando l’orgoglio del proprio passato. Inascoltato allora e inascoltati adesso tutti coloro che svolgono un ragionamento per molti versi simile, sommersi come sono dalla marea montante del relativismo che porta con se le truppe agguerrite dei cosiddetti ‘specialisti’ a nient’altro interessati se non al proprio orticello come se fosse sufficiente a spiegare l’enorme complessità del vivere.
In questo modo l’istruzione scolastica diventa un patchwork di competenze, una sommatoria di ‘abilità’ da spendere sul mercato del lavoro (sul quale però arriva regolarmente in ritardo) senza preoccuparsi di fornire insieme all’ordito, anche la trama, in modo che i ragazzi imparino a riconoscere le costellazioni di riferimento del loro essere italiani, maturando attraverso le indispensabili acquisizioni culturali, il senso di un’esistenza fortificata dalle dimensioni storiche del presente che sole sono in grado di opporsi al nichilismo, ormai endemico tra le giovani generazioni. Una maturazione funzionale anche al formarsi del discernimento morale, quello che i filosofi chiamano sinderesi e che in parole più semplici vuol dire la capacità di discernere il bene dal male, propedeutica a sua volta, all’individuazione dei valori di riferimento.
Quelli che sono alla base di ogni civiltà, quelli che si formano in centinaia se non migliaia di anni e nella loro valenza collettiva vengono ben prima degli affetti, di cui oggi è molto di moda parlare, i quali hanno semplicemente un ‘peso’ del tutto personale e privato.