Vorrei ritornare ancora sul tema della scuola di cui ho cominciato a parlare nell’ultima coda, ma che ritengo fondamentale per la nazione e per la civiltà di cui siamo figli. Anche perché il problema sta diventando di giorno in giorno più grave in considerazione del fatto che sempre meno le famiglie affannate dal duplice lavoro (ormai indispensabile per sopravvivere) e dalla caterva di adempimenti che questo Stato impone a loro, hanno tempo per provvedere alla educazione dei loro figli e tendono a delegare sempre più alla scuola questa incombenza, anche a proposito dei temi etici, compresi quelle sessuali. D’altra parte quando mai questi bambini che si beccano otto ore di tempo pieno e poi vengono portati come pacchetti a chi gli insegna a nuotare, a chi li allena al calcio o alla pallacanestro, allo Judo, al Kung Fu, al Karate come pure a suonare qualche strumento, a ballare a studiare una lingua straniera e via discorrendo, trovano il tempo per giocare in libertà con altri bambini e magari scambiare qualche parola coi propri genitori?
Magari possono farlo tra un viaggetto in auto e l’altro, oppure alla sera quando il loro programma preferito viene interrotto dalla pubblicità.
Ritornando al tema per mettere i puntini sulle i, di fronte a queste mutazioni sociali la scuola – democratica per definizione e di massa per dovere – si fa vanto della sua progressiva tecnicizzazione e si affanna non a trasmettere cultura, ma a ‘formare’ cervelli, sempre col fiato corto per rincorrere il pragmatismo americano e il relativismo imperante in modo da poter poi scalare classifiche dei questionari Invalsi, che il problema della trasmissione della cultura non e lo pongono neppure ma mirano esclusivamente ad appurare le abilità cognitive degli studenti.
E così tra tecnicismi e relativismi vari il senso di identità e di apparenza che dovrebbe essere il bagaglio minimo con cui si esce dalla scuola primaria, va a farsi benedire, tanto, cognitività per cognitività conoscere i miti sulla nascita del mondo degli aborigeni australiani vale quanto sapere di Adamo, di Eva, dell’albero e del serpente.
Così per invitare a riflettere su quello di cui dovrebbe occuparsi la scuola pubblica, mi piace chiudere questa coda con un’ampia citazione di Ida Magli che traggo dal sito www.italianiliberi.it
“La scuola di stato, proprio in quanto tale, ossia pagata dai cittadini italiani e affidata a insegnanti scelti dallo stato, ha il dovere di preparare cittadini italiani.
Essere cittadino italiano significa sentire il legame con la terra d’Italia, conoscerne e apprezzarne il prezioso patrimonio linguistico, storico, culturale, religioso traendone l’alimento fondamentale per la formazione della persona. Tanto più questo deve avvenire quando gli alunni non ne possiedono una lunga tradizione familiare alle spalle come nel caso di immigrati provenienti dai più diversi paesi del mondo. In altri termini questo significa che la scuola di stato italiana ha diritto a questo nome e alle ingentissime spese per il suo mantenimento in quanto serve alla conservazione e al futuro dello stato italiano. Il fatto che vi sia stata una forte immigrazione […] deve indurre a rafforzare il senso dell’ identità italiana come bene comune da parte di tutti e non indebolirlo e snaturarlo con l’inserimento multiculturale. La presenza del cristianesimo in tutti gli aspetti della storia italiana, da quella politica a quella sociale, da quella letteraria a quella artistica, ne è parte integrante e non scindibile per cui qualsiasi discussione o incertezza su questo argomento può essere frutto soltanto dell’ignoranza o della malafede”.