If you change this, maybe your children will not be next
(se cambi questo, forse i tuoi figli non saranno i prossimi)
L’evento mediatico del weekend calcistico appena trascorso non è stato il quattordicesimo successo consecutivo iniziale dell’Acqui di Arturo Merlo – anche se il calendario gli ha proposto un turno favorevole contro un’ultima in classifica arrendevole come poche – per seguire il quale sembra si stia muovendo addirittura la RAI, ma l’autoesonero di Scarnecchia che dopo una lite con il patron Tonetto ha deciso di abbandonare la squadra al suo destino; motivo del contendere, per quanto irreale, il fatto che a causa di una giornata di squalifica il mister si trovasse in tribuna proprio con a fianco il proprio presidente e quest’ultimo sembrerebbe avere insistito particolarmente per operare alcuni cambi nella formazione a dispetto di quanto lo stesso allenatore volesse decidere.
E’ una situazione sicuramente complessa, ma ci sono altri dati che fanno riflettere: la scorsa settimana sono saltate anche altre due panchine di Seconda Categoria, una delle quali per parola dello stesso allenatore perchè «non riusciva più a reggere la pressione». Non dubito, conoscendo bene il soggetto, che questa sia una boutade volta a stigmatizzare il comportamento di molti dirigenti e giocatori che dissertano delle vicissitudini della propria formazione iscritta appunto a campionati provinciali come se da queste dipendesse il destino del mondo. Un collega mi avvertì, in occasione delle mie prime presenze nei campionati giovanili, di come mi sarei trovato di fronte a legioni di genitori del nuovo piccolo Platinì – la scelta del giocatore, al di là delle inclinazioni juventine del collega, non è casuale: ad una classe innata si abbinava infatti nel francese anche una certa indolenza ed una sufficienza nei confronti del resto del mondo umano – che mal vedono il fatto che un «esterno» si permetta di valutare le prestazioni del proprio pargolo, anche quando il pargolo in questione ha vent’anni e, parole di mamma, «ha sofferto molto interiormente per l’insufficienza che lei gli ha dato dopo la scorsa partita».
Sperando il giovane in questione non abbia trascorso la notte sdraiato nel letto con un cuscino sulla faccia ascoltando F. De Gregori, la sensazione che ne ho ricavato è che per insufficienze ben più gravi nel percorso formativo scolastico non vi fossero state crisi personali analoghe, e mi perdoni Leopardi che probabilmente dietro la siepe dell’Infinito aveva il campetto da calcio dove giocavano i suoi amici e lui era escluso anche se avesse portato il pallone.
La triste e vuota realtà porta ad una considerazione: in Italia gli iscritti alla FIGC sono 1.387.000 e rotti, dai quali bisogna togliere 670.000 iscritti alle giovanili per ottenere i 470.000 dilettanti ed i 14.500 professionisti dei quali solo 500 giocano in serie A. Il 99% delle partite sono organizzate dalla LND, ma dei 2,9 miliardi di Euro che il calcio ricava, 2,5 sono appannaggio dei professionisti – nel dettaglio per l’82% alla Serie A, per il 14% alla Serie B e per il 4% alla Lega Pro – con 428 milioni netti di perdita prodotta nel campionato precedente. I dati si riferiscono alla stagione 2012-13 e non alla attuale, ma non è che le cose siano cambiate moltissimo: le percentuali di arrivare ad entrare nella cerchia dei fortunatissimi sono tremendamente basse, a prescindere dal valore che ci si autoattribuisce: meglio, molto meglio, continuare a calciare un pallone per passione e non nella speranza di diventare ricchi e nel frattempo, magari, divertirsi anche.