di Giancarlo Patrucco
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Un paradosso, dal greco παρά (contro) e δόξα (opinione), è un ragionamento che appare contraddittorio, ma che deve essere accettato, oppure un ragionamento che appare corretto, ma che porta a una contraddizione.
Da Wikipedia, l’Enciclopedia libera.
Non ci sono mai stati nella politica italiana, tanti paradossi (dei due tipi) quanto in questo periodo. Praticamente, tutti i principali partiti di governo o di opposizione hanno a che fare con uno e più. E ne sono prigionieri.
Cominciamo dal nuovo posizionamento all’interno del centrodestra, quello sconquasso che si è verificato sabato e che ha fatto fremere di commozione più di una parte in causa. Dal suo scranno di Presidente della nuova Forza Italia, Berlusconi ha denunciato lo strappo dei cosiddetti “governativi”, si è lamentato in particolare del tradimento del suo figlioccio Angelino e ha concluso con due importanti affermazioni:
– la prima: mai Forza Italia potrà sedersi al medesimo tavolo di chi intende uccidere politicamente il suo leader
– la seconda: non chiamate traditori quelli che se ne sono andati. Ci ritroveremo nella nuova coalizione di domani.
Bello, persino commovente, ma paradossale. Infatti, Berlusconi trascura il fatto che i governativi seduti a quel tavolo stanno e che quello è stato il detonatore della scissione. Ora, anche ammesso che i governativi votino compatti contro la decadenza berlusconiana, rimane sempre il fatto che proprio loro hanno messo in campo le forze per sostenere Letta e che sempre loro rimangono seduti accanto a quegl’altri.
Ma Alfano non è da meno. Dopo aver sparso lacrime sul “padre”, cosa risponde alla sua profferta amorosa? Per Alfano è esiziale che la leadership del centrodestra venga conquistata attraverso il passaggio delle primarie di coalizione. Che è come dire: in qualità di “padre” ti rispetto, ma come dominus incontrastato ti metto in discussione. Curioso contesto per fissare un passaggio democratico così significativo e traumatico. Per altro, subito bissato dalla Meloni di “Fratelli d’Italia”. Ce n’è quanto basta per inverare la seconda affermazione di Berlusconi o, almeno, per capire che la coalizione auspicata per il momento sta solo sulla carta. Saranno i sondaggi a dire se si realizzerà, oppure le traversie giudiziarie del Cavaliere?
E veniamo ai 5 stelle. Dopo aver urlacchiato per mesi contro il porcellum, da un po’ di tempo in qua Grillo dice che gli va bene. Anche qui, esibendo un paradosso evidente: vinceremo noi. Prenderemo la maggioranza assoluta, oppure mi ritirerò/ci ritireremo. E se non prende la maggioranza assoluta, cosa al momento altamente improbabile? Cosa farà di quel pattuglione di 5 stelle che probabilmente gli elettori manderanno in Parlamento? Tutti a casa?
Grillo sa bene che la procedura sarebbe complicata, che le resistenze sarebbero molte, che il movimento rischierebbe di sfasciarsi. Insomma, l’unica cosa sarebbe quella di trovare un impegno positivo e parlamentare appunto, per la nuova infornata in caso di elezioni. Magari già per quella che c’è. Ma questa sembra proprio la responsabilità a cui Grillo intende sfuggire.
Chiudiamo con il PD. Qui il paradosso gioca nei due sensi, quello del partito e quello del governo. Per una strana contingenza del destino – mettiamola così – quello che sembrerebbe il più vocato, per storia ed esperienza, a prendere le redini del partito è Enrico Letta, che al momento fa il capo del governo. Dall’altra parte, quello che sembra il più idoneo e acclarato in tutti i sondaggi come il premier preferito dagli italiani, sta giocandosi invece la partita della segreteria del PD.
Da questa contingenza nascono due interessi contrastanti: Letta resta abbarbicato al governo e perciò formalmente fuori dai giochi d’assetto interni al PD; Renzi diventerà probabilmente segretario, trovandosi ad essere il principale azionista di Letta per la poltrona che vorrebbe per sé.
Aggiungo un particolare curioso: la sfida tra Cuperlo e Renzi, il voto degli iscritti, le parole di D’Alema fanno pensare che dentro al partito si prepari un arrocco che qualcuno vuol chiamare di sinistra, quindi fuori dall’area renziana e lettiana, e che io preferisco chiamare conservatore.
Si profila quindi una sfida a tre, su cui torneremo ancora.