Essendo stato nella mia gioventù un animo inquieto e potendomi definire un ragazzo postresitenziale ho dovuto vivere due fasi ben distinte della nostra scuola repubblicana. La terza, data la mia età, l’ho soltanto potuta vedere da spettatore.
La prima è quella bigotta, clericale, demoniocristiana, dove la maestra era umiliata da un grembiule nero che la rendeva ancor più severa e intimidiva quelle nostre fantasie erotiche e sognanti tra la via Emilia e il West come cantava Guccini in quegli anni gloriosi.
Eppure dietro quei banchi verdi di formica grezza ci portavamo addosso un bagaglio di grande valore, quello trasmesso dai nostri nonni, i più usciti da due guerre con in mezzo quei ventanni terribili.
La seconda, vissuta in un periodo in cui prevaleva già uno spirito di autonomia, era quella legata alle grande acrobazie ideologiche, un corpo pieno di fermento e di contestazione.
Meno male che la fantasia doveva prendere il potere. Che bello sarebbe stato, uno slogan grandioso ma utopistico che nella realtà ha portato a una sorta di tanti leader e leaderini che hanno occupato o meglio dire ingombrato e abusato degli spazi pubblici permettendo la sfascio di questo paese.
Certo, meno male che la fantasia doveva prendere il potere, visto che ognuno di questi recitava una parte già scritta nei copioni zincati del Comintern.
Il paese dei pentiti, pentiti non solo di mafia, pentiti dei fatti di terrorismo, ma pentiti di ideologia, pentiti di quei valori che hanno portato avanti soltanto per ritagliarsi uno spazio da protagonisti (ben retribuiti) nella società attuale.
È certo che io prenda le distanze, anche se purtroppo indirettamente mi vedo coinvolto e a volte faccia anche un po’ di fatica a mandare giù il rospo.
La terza fase, dicevo, io la assisto da spettatore dopo aver rischiato di viverla da docente, quindi trovandomi dall’altra parte della barricata nel bel mezzo della riforma berlingueriana fino alla Gelmini. A quest’ora sarei un erede di quei personaggi di Domenico Starnone e di Daniele Luchetti, accresciuto di frustrazioni, vivendo la crisi di identità dell’insegnante sia per il potere di acquisto, il discredito sociale e il processo di sottoproletarizzazione della categoria.
Come nel film di Robert Zemeckis, Ritorno al futuro, sarebbe bello tornare indietro nel tempo e ricominciare da lì, dalle maestre con il grembiule nero, o forse un po’ più indietro, sapere già dove avremmo potuto arrivare con la visione già scritta di questa nostra amara realtà e progettare qualcosa di diverso.
Forse tutto è possibile. Non so. Sarebbe bello crederci ma si sa……era meglio morire da piccoli.