L’eterno bluff della ripresa [Controvento]

Letta Enrico nuovadi Ettore Grassano

C’è ormai una tale distanza tra il ‘sentire’ del Paese reale (imprenditori, lavoratori, comuni cittadini) e gli slogan a cui pare improntata la politica governativa, che se la situazione non fosse tragica ci sarebbe da riderci su.

Basta andare a sfogliare, ad averne voglia, le cronache della politica nazionale dal 2008 ad oggi per scoprire che la ripresa è sempre ‘in arrivo’, ma dodici mesi dopo. Più serie (va detto fra parentesi) le analisi sul piano locale, dove non sappiamo se per pessimismo alessandrino o sano realismo di provincia in pochi, in verità, hanno finora millantato mirabolanti svolte a 12 mesi, come si ostina a fare Letta, nel solco dei suoi predecessori Monti e Berlusconi.

Gli italiani peraltro, è noto, della loro classe dirigente (e politica in particolare) si sono sempre fidati pochissimo, figuriamoci di questi tempi.

Nell’ultima settimana, dopo una serie di confronti con imprenditori (edili, logistici, meccanici), dirigenti bancari, giornalisti extra territorio, abbiamo registrato, come cifra comune, quella dell’incertezza, della precarietà.

Non solo sconforto e scetticismo  (quello lo proviamo tutti, e non da oggi) ma proprio unCrisi giornali letterale ‘non sappiamo che succederà a gennaio’, che fa clamorosamente a pugni con le dichiarazioni di cauto ottimismo (sempre posticipato di 12 mesi, ça va sans dire) che ci vengono ‘propinate’ nelle dichiarazioni ufficiali del premier, e dei vari ministri.

Dov’è la verità, e quale la realtà dei fatti? Siamo noi (ci collochiamo tra gli ottimismi naturali e non rassegnati, ma sicuramente perplessi: l’incertezza è palpabile ovunque) che non abbiamo in mano gli strumenti di Letta e soci, e quindi non capiamo quale scenario si sta prefigurando? O sono loro che (escludendo che siano tutti babbei che vivono fuori dal mondo) hanno scelto deliberatamente di mentire al Paese, per evitare il panico?

Certamente la sensazione di ‘accerchiamento-spolpamento’ rispetto ai risparmi privati, e alle attività economico-produttive che ancora cercano di resistere, è tale da far pensare ad un sistema in folle ‘autoavvitamento’, che per sopravvivere e mantenere un apparato di spesa pubblica sempre più oneroso (che non sono solo gli stipendi dei lavoratori del settore, attenzione: leggete al riguardo l’intervista di oggi con il segretario provinciale Cisl di Alessandria e Asti Alessio Ferraris) finisce col ‘tirare il collo’ alla parte del sistema che ancora galleggia. Ma dove possa portare un simile percorso è intuibile, nonostante i maldestri tentativi di Letta di convincerci del contrario.

“Non c’è via d’uscita: o si torna a finanziare opere pubbliche (dalle scuole alle strade, fino alle grandi opere infrastrutturali), o siamo finiti“, mi ha detto di recente un imprenditore edile. E non si riferiva, naturalmente, solo al suo comparto. In teoria è davvero così. In pratica, però, ha ragione anche chi, per fermarsi agli ultimi vent’anni (la famosa, anzi ormai famigerata, seconda repubblica), evidenzia come la spesa pubblica italiana abbia spesso coinciso con sprechi, ruberie, fare e disfare senza costrutto. Citiamo pure il Ponte sullo Stretto o le autostrade del sud (sempre più mezzo Paese ‘a perdere’, sul piano economico ed etico, checchè ne dica la classe politica romana), ma anche scempi di provincia nordica, come il mai realizzato teatro Delle Piane a Tortona (10 milioni di euro ‘iniettati’, in maniera bipartisan nel corso di 15 anni, in un edificio di cemento che, con ogni probabilità, nei prossimi anni verrà demolito, con ulteriori costi: fare e disfare). Ma, ancora, vogliamo parlare di tanti piccoli corsi ‘fantasma’, o comunque completamente inutili, finanziati alla voce formazione dai vari enti locali? Me ne hanno raccontato uno l’altro giorno: 40 mila euro per insegnare ai disoccupati come farsi un video curriculum. Ah beh, si beh..

Ma gli esempi sono innumerevoli e disseminati, e la logica antica, e anche comprensibile, in questa cornice ‘malata’: “ci sono dei soldi da intercettare, o li spendiamo noi o li prende qualcun altro. Inventiamoci un progetto, e distribuiamo comunque un po’ di risorse sul territorio”.

Questo, checché se ne dica, è sempre stato ed è il modo di ‘investire’ le risorse pubbliche: e se l’Italia va a rotoli, avendo sempre molto speso, non è un caso, ma per un mix di incompetenza, cialtronaggine, accodarsi a logiche consolidate e senza costrutto.

Ora la ‘scialuppa’ di salvataggio pare siano gli ingenti finanziamenti europei dell’agenda 2014-2020. A quelli leghiamo, di fatto, la ‘non implosione’ del sistema Italia, banche comprese. Letta lo sa, naturalmente. Vedremo se e come riuscirà a fare in modo che quelle risorse servano a dare davvero fiato e futuro al Paese, e non siano soltanto temporanee boccate d’ossigeno distribuite a pioggia, agli amici e amici degli amici. Come è successo finora.