«Per Emanuela avevo chiesto supporto alla Asl perché sin dal quarto ginnasio ha cominciato ad avere atteggiamenti aggressivi»
«Ho due figli, il padre è stato completamente assente dopo la separazione. Non ci ha aiutato in nessun modo. Io ho avuto difficoltà nella gestione dei ragazzi, specie con il più piccolo»
«Emanuela si vergognava della nostra condizione economica. Diceva di odiare il fratello perché attribuiva a lui l’origine di tutti i nostri problemi economici»
«Quando tornava a casa con delle nuove scarpe, mi diceva che gliele avevano regalate le amiche perché loro potevano permettersele»
«Non ho preso soldi da mia figlia. Non sapevo nulla di appuntamenti. Non ho saputo gestire questa situazione. Non ho denunciato perché non sapevo con chi aveva a che fare Emanuela e avevo paura per lei. Ora, sono contenta che è successa questa cosa: la volevo fermare in tutti i modi. Ne avevo parlato anche con lo psicologo che ha in cura l’altro mio figlio»
E’ questo lo scenario che la mamma di Emanuela (nome rigorosamente di fantasia) dipinge davanti al gip Maddalena Cipriani, dopo aver trascorso dieci giorni in cella. La signora, per la quale non ci vengono in mente adeguati nomi di fantasia, è accusata insieme ad altre quattro persone di induzione e sfruttamento della prostituzione minorile. Dopo aver scoperto le attività della figlia, le avrebbe -il condizionale è d’obbligo- assecondate e incoraggiate.
Questa è una storia che è accaduta a Roma, Caput Mundi, metropoli tentacolare e da sempre teatro di casini, figurati e reali. Ma c’è un’altra storia, molto simile, che si è svolta a L’Aquila. Il vescovo ausiliare della città, Giovanni D’Ercole, riferisce di aver saputo da un medico che in un centro commerciale del capoluogo diverse ragazzine, anche sotto i 14 anni, si prostituiscono in cambio di ricariche telefoniche. Le indagini sembrano confermare questo andazzo, non sempre determinato da povertà o disagio sociale. A volte è solo un gioco, un capriccio.
Veniamo a casa nostra, ad Alessandria. Pare che tra gli adolescenti girino foto di ragazze 16/17enni senza niente addosso, insieme a filmini espliciti e chissà che altro. Il materiale scottante viaggia alla velocità della luce su Whatsapp, l’applicazione di messaggeria più diffusa al mondo, come ci racconta l’ottimo Massimo Brusasco sul Piccolo. Una studentessa, leggiamo un po’ turbati, parla addirittura di una “moda” assai diffusa tra le ragazze delle scuole superiori alessandrine.
Ho due figli maschi, uno di 15 e uno di 13 anni. Quello di 15, su Facebook, tra le amicizie annovera molte sue compagne di scuola. Mi è bastato dare un’occhiata alle foto che le suddette postano su Fb per capire il trend: le foto ritraggono tipette in costume da bagno che limonano con il ragazzo, oppure si baciano in bocca con le amiche del cuore (il para-lesbo tira un casino, a quanto sembra), alcune avvinghiate in un boschetto, altre in camera da letto, altre ancora al mare.
Questa è l’adolescenza 2.0. Voi ve ne eravate accorti?