Il Piemonte è per eccellenza una terra nobile, dalle salde e antiche tradizioni, come ho avuto modo di scrivere a conclusione del mio ultimo pezzo da Straniero su questo stesso sito. Aggiungerei, abitato da cittadini falsi e cortesi, come recita un proverbio popolano, ma, altrettanto, parlare di Piemonte, vuol dire rappresentare una terra riconoscibile dal suo grande ingegno industriale esportato in tutto il mondo, fin dagli albori dell’evoluzione dell’acciaio e da quant’altro ne ha prodotto esperienza e ricchezza per la collettività. Molte le personalità piemontesi che hanno segnato l’Italia con il loro stile, la loro creatività, basti pensare ad alcuni nomi d’eccellenza come Agnelli, Borsalino, Olivetti, Ferrero, Paglieri. Solo per richiamare la memoria tra i più noti.
Ma anche la grande truppa di “invisibili” ha lasciato tracce profonde. Non solo. Per dipingere un’appropriata immagine del Piemonte occorre fare i conti anche con una grande vitalità contadina, divisa e cresciuta come in poche altre regioni italiane tra la pianura (dove il nero più nero dei suoi vini e delle sue anime si radica profondamente), montagne dalle vette ardite e laghi, a un tiro di fucile dalle sponde del mar Ligure, così come dai confini con Svizzera e Francia. E quale cornice migliore di gianduiotti e letteratura, di agnolotti e architettura che ci hanno arricchito nei secoli palato e spirito?
Il Piemonte è una terra dove si incarna una vita a suo modo curiosa, e riservata allo stesso tempo, fatta di gente accogliente, generosa e sospettosa, in prima fila ad affrontare con capacità individuale e collettiva i grandi cambiamenti che la rendono parte del Mondo. E in questo affascinante mosaico naturalmente non mancano gli scheletri nell’armadio, le nebbie, tanto affascinanti quanto tenebrose, oppure le esplosioni di violenza nel suo cuore più metropolitano e cosmopolita (come la dura esperienza degli anni di piombo) alternate a momenti di struggente e malinconica tenerezza. E poi le ombre. Ombre come essenza di reduci di un’esistenza risucchiata ai margini da una forza invisibile, nei boschi apparentemente disabitati ma dove si sente la cura della presenza umana, ombre filtrate dalle imposte delle case nei mille e mille paesi di campagna e montagna ancora in vita, dietro le quali si muovono credenze, ultimi barlumi di vita terrena o cupi fantasmi di un aldilà con cui il Piemonte mantiene un rapporto stretto e forse solidale.
Ma tutto questo enorme forziere pieno di ori sfavillanti oltre che apprezzato va gestito. E quindi, a occuparsi dei 4 milioni e mezzo circa di piemontesi, ci pensano 1 amministrazione regionale, 8 provinciali, 1207 comuni e 22 comunità montane. Ognuna con competenze diverse dal vicino. Ma non sempre. Spesso il gioco dell’accavallo blocca il meccanismo.
Questi sono i numeri della connotazione politico amministrativa piemontese.
Poi ci sono gli uomini a dare corpo ai ruoli. Non ho dati certi (se qualcuno ne ha, ben vengano) ma credo, facendo un conticino per arrotondamento, che tra presidenti, sindaci, assessori, consiglieri siano almeno 10 mila gli amministratori da cui dipende la nostra organizzazione civile.
Un potere su più livelli, come ci racconta la narrativa di fantascenza. Una piramide dalle mille biforcazioni, dove le responsabilità dei singoli si fanno ombra una con l’altra, dove la passione si contamina con l’affarismo. Uno ogni 400. Tutti retribuiti. Molti con vitalizi. Un’impresa che mai si poteva sospettare arrivare a tanto. E naturalmente ognuno, per la sua parte, si spertica nel difendere questi ruoli come essenziali per il bene comune. Proprio come succede oggi nel voler sostenere l’esistenza delle province e spargendo il virus della paura. Cittadini, non sapete cosa vi aspetta senza più le province! Giusto. Se tante persone si preoccupano di difendere gli interessi comuni, allora, questo bene, dovrebbe essere maggiormente tutelato, dovrebbe vivere in un quotidiano più rassicurante.
Invece no. E l’attualità lo dimostra. Ma è colpa della crisi. Che certamente arriva da lontano ma che si ricarica grazie ad un meccanismo che si inceppa ad ogni alito di vento. Una crisi di cui nessuno ha colpa, perché è globale, perché c’è la concorrenza dei cinesi. Insomma, la responsabilità è sempre altrove.
Uno su 400. La speranza parla di uno su mille a farcela. La politica è più generosa.