I moderati italiani

Soro Bruno 2di Bruno Soro

“Chi sono questi elettori moderati il cui favore si contendono Berlusconi e altri politici eminenti come Casini, Fini, Rutelli e perfino il leader del Partito democratico Bersani? Com’è composta la schiera dei moderati ritenuti l’ago della bilancia delle sorti della democrazia italiana? Che cosa vogliono questi moderati?”

M. D’Antonio, “La crisi dell’economia italiana. Cause, responsabilità, vie d’uscita”, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2013.

Leggo su La Stampa di domenica 3 novembre un interessante articolo, “I tre dilemmi del Centrodestra”, nel quale lo storico Giovanni Orsina, autore tra l’altro del recentissimo libro su “Il berlusconismo nella storia d’Italia” (Marsilio Editore, Venezia 2013), afferma che “I moderati italiani hanno storicamente avuto interlocutori attenti e ben disposti negli Stati Uniti e nella Chiesa cattolica”.  Non mi sorprende più di tanto che il professor Orsina – già collaboratore de Il Foglio di Giuliano Ferrara e da qualche tempo editorialista del quotidiano torinese (un “segno dei tempi”?) ancorché co-autore di un paio di libri con il Ministro per le riforme costituzionali del Governo Letta on. Gaetano Quagliariello -, non si ponga il problema, da moderato qual è, di chiarire ai lettori della cronaca politica chi si celi sotto la qualifica di  “moderato”.

Consapevole dell’enorme ricchezza del linguaggio di comunicazione (quello in uso, per intenderci, nelle discipline umanistiche), ed essendo più avvezzo all’uso del linguaggio di elaborazione (utilizzato nelle discipline scientifiche, che fa uso di simboli e di relazioni tra simboli per connettere tra di loro i vari concetti) ho sentito il dovere di documentarmi. Nel linguaggio comune, moderati sono tutti coloro che si propongono di gestire l’esistente: più conservatori, quindi, che progressisti. Per la lingua italiana, moderato è chi, “in politica, è lontano da tendenze radicali e spesso si colloca su posizioni centriste (rispetto a un punto di riferimento che può essere tanto l’insieme quanto un singolo partito” (DISC, Dizionario Italiano Sabatini Coletti). Quest’accezione ci consente di espungere, dalla categoria dei moderati, personalità come Marco Pannella (o del suo discepolo Daniele Capezzone, portavoce del PDL) e di includervi invece un moderato d’antan come il Sen. Enrico Morando (non fosse altro che per le idee contenute nei suoi libri o espresse quale consulente economico di Matteo Renzi). Così come si può ragionevolmente escludere dalla categoria dei moderati politici come “La Pitonessa” Daniela Santanché, o l’ex-comico Beppe Grillo, mentre potrebbe a buon titolo rientrarvi un politico di lungo corso, stando alle vicende più recenti interne al PDL, come l’on. Fabrizio Cicchitto. Non ho dubbi, poi, che siano moderati pure il Presidente del Consiglio Enrico Letta e il suo vice Angelino Alfano, provenienti entrambi dalle fila dei giovani democristiani.

Ma “cosa vogliono questi moderati?” si domanda nel suo recentissimo libro, citato nell’epigramma, l’economista Mariano D’Antonio? La risposta la possiamo trovare nel capitolo dedicato al “Governo Monti e il partito dei moderati”. In esso, l’Autore ci fornisce un’ampia gamma di interessi che i “moderati” difendono, a partire da ciò che essi non vogliono. Non vogliono, egli scrive, “che l’Italia sia governata da politici che praticano la ricetta “tassare di più per spendere ancor più”, cioè aumentare le tasse per aumentare ancor più la spesa pubblica”. Resta il fatto che, “sotto quest’ampia bandiera di rifiuto delle tasse – sottolinea il professor D’Antonio – si raccolgono gruppi sociali assai variegati”. Vi sono innanzitutto i fautori dell’immobilità sociale, di quanti cioè “hanno ereditato dai genitori patrimonio e mestiere e hanno intenzione di trasmetterli ai loro figli”. Questa categoria di moderati è particolarmente perniciosa. Grazie ad alcuni provvedimenti lungimiranti approvati dai governi moderati dei primi anni ’60 del secolo scorso (cito a memoria l’abolizione della prova di latino nei passaggi dalle scuole di avviamento professionale agli Istituti Tecnici, l’introduzione del presalario per gli studenti universitari, l’introduzione della scuola media unificata, l’apertura dell’iscrizione all’Università anche agli studenti delle scuole tecniche e professionali), un’intera generazione di figli di ceti meno abbienti (la mia, ma anche quella dell’ex Ministro del Lavoro del Governo Monti Elsa Fornero), meritevoli, certamente ambiziosi e desiderosi di farsi strada nella vita, hanno potuto laurearsi usufruendo di un “ascensore sociale” che li ha portati ad occupare posizioni sociali inaccessibili alle generazioni precedenti. La scuola che non premia i meritevoli, un sistema educativo di scarsa qualità (specie nella scuola pubblica, peraltro sempre più priva di risorse) e l’accesso al lavoro non trasparente (anche nell’accesso agli stage e nel lavoro precario vige il criterio della segnalazione) fa sì che vi siano numerosi ostacoli alla mobilità sociale.

Nella categoria dei moderati, sono poi ampiamente presenti gli evasori fiscali, quelli che già ora non pagano neppure le tasse dovute. Questa categoria di moderati è ancor più perniciosa di quella precedente poiché, come sottolinea Mariano D’Antonio, “le conseguenze dell’evasione fiscale sono devastanti”: accrescono il carico fiscale dei contribuenti onesti; alimentano l’economia sommersa; creano concorrenza sleale tra gli operatori economici; aggravano lo stato dei conti pubblici; sottraggono risorse ai servizi pubblici e, in genere, alle politiche di welfare. Il guaio è che fino ad oggi “questi fenomeni non sono stati efficacemente contrastati dalle istituzioni pubbliche e neanche dai partiti politici, specie da quelli finora preferiti dai moderati, che quando non hanno fornito alibi morali agli evasori fiscali (…) sono giunti a intessere rapporti con il crimine organizzato per scambiare protezione e complicità con i voti”.

Infine, la categoria dei moderati “è molto più larga dei gruppi sociali che violano la legge”. Ad essa, come ci rammenta D’Antonio, appartengono infatti anche “lavoratori dipendenti dell’industria e dei servizi, artigiani e piccoli imprenditori che riescono faticosamente a esercitare le loro attività talvolta con successo grazie all’impegno personale che vi pongono, impiegati del settore pubblico orgogliosi del lavoro che svolgono difendendolo dalle incursioni e dalle interferenze dei politicanti”. Cosa sottaciuta, ma che un partito che intendesse rappresentare i moderati appartenenti a questa categoria deve avere ben presente, è che essi “sono ostili e diffidenti nei confronti dei sindacati e dei partiti di sinistra”, poiché “spesso difendono tra i lavoratori anche quelli che non meritano d’essere difesi perché battono la fiacca, non collaborano con l’imprenditore, sfruttano ogni occasione per assentarsi dal lavoro”.

In conclusione, non tutti i moderati italiani sono “buoni” e non tutti sono “cattivi”. Ad ogni buon conto, per separare gli uni dagli altri non bastano le parole, occorrono fatti (vale a dire misure di politica economica) e comportamenti coerenti con quei fatti. Confesso che faccio una gran fatica a rintracciare nei partiti che sostengono le “larghe intese”, che portano avanti gli interessi di tutti i moderati italiani, la volontà di distinguere i primi dai secondi. E l’incoerenza è il motivo che più spinge gli elettori (specie quelli più giovani) a sentirsi rappresentati da coloro che moderati non sono.