Nel gennaio del 1951 la rivista Life pubblica l’emblematica fotografia di Nina Leen che ritrae quindici ‘irascibili’ vestiti da banchieri. Al centro Jackson Pollock. Con lui oltre a Willem De Kooning, Mark Rotko, Barnett Newman, Robert Motherwell, Adolph Gottlieb, William Baziotes,Bradley Walker Tomlin, Jimmy Ernst, James Brooks, Ad Reinhardt, Richard Pousette Dart, Theodoros Stamos, Clyfford Still ed Hedda Sterne.
Questa celebre immagine può essere considerata come il Manifesto di un nuovo movimento, un insieme di sensibilità affini di cui fanno parte coloro che, sottoscrivendo una lettera aperta al direttore del Metropolitan Museum of New York, si sono dichiarati dissenzienti dalle regole e dalla tradizione della pittura, contrapponendo la Scuola di New York alla predominanza europea di Parigi e Vienna nel campo dell’arte. Milano, a Palazzo Reale, in collaborazione con il Whitney Museum of American Art presenta una grande mostra dedicata all’ Espressionismo Astratto, concepito e realizzato proprio da Jackson Pollock ed i suoi seguaci. Vedere la mostra significa incontrare la bellezza inquieta di artisti che non si sono accontentati e sono andati oltre, scoprendo un nuovo modo di concepire l’arte e soprattutto di realizzarla. La Scuola di New York, coniugando le influenze dell’Astrattismo, del Surrealismo con l’esperienza del Muralismo messicano e dell’arte dei nativi americani, seppe elaborare una nuova estetica del moderno. Cosi nacque un movimento autenticamente americano capace di dirottare su New York il ruolo di capitale dell’arte. Nell’ambito del suo percorso la mostra offre molti spunti e stimoli tramite mezzi mediatici come filmati, fotografie, che restituiscono bene l’atmosfera di allora. Milano riaccende quindi le luci su una fantastica stagione dell’arte mondiale, che segnò la prima vera globalizzazione dell’arte con il debutto americano.
Jackson Pollock ha cambiato il linguaggio della pittura. Ha rotto il ghiaccio. Altrettanto rivoluzionario come lo furono Michelangelo e Raffaello nel Rinascimento con la sua tecnica dello ‘sgocciolamento’, spinse l’arte e soprattutto il modo di realizzarla in una nuova dimensione.
L’americanismo di Pollock non è tanto una questione di cittadinanza quanto di approccio all’opera e alla costruzione del personaggio che va ben al di là dall’essere semplicemente un artista. Quando scoprì il dripping, abbandonando il cavalletto iniziò a dipingere stendendo sul pavimento grandi rotoli di carta, muovendosi come in una danza apache, coinvolgendo tutto il corpo, entrando nella tela, facendo colare la vernice come in preda ad un delirium tremens. Le sue tele, spesso di grandissime dimensioni testimoniano la nascita dell’action painting proprio nel momento in cui in Europa il movimento dell’Informale è già in declino. Di Jackson Pollock più che l’artista e le sue opere colpisce molto il personaggio, costruito o spontaneo che sia, forse entrambe le cose sullo stereotipo del ‘genio e sregolatezza’, ed e capostipite di una serie di divi ‘irregolari’ di Hollywood.
Jackson ha un carattere difficile, scontroso e solitario, vittima dell’alcol, corpo robusto e psiche fragilissima, incarna quasi l’immagine di un eroe romantico. Muore a poco più di quarant’anni in un incidente d’auto nell’agosto del ’56, dopo una notte ‘brava’. In mostra l’opera più importante è sicuramente il numero 27 (1950): grande caos magmatico di segni, gesti, incisioni su sfondo nero, con giallo, arancio ed alluminio in risalto nei movimenti centrifughi e centripeti, quasi a mimare il ritmo musicale di una danza. La mostra raduna circa cinquanta opere provenienti dal Whitney, che comprende un’ampia gamma di artisti.. Nella selezione esposta sono presenti alcuni tra i capolavori piu’ rilevanti della collezione, come Mahoning di Franz Kline (1956) e Door to the river di Willem de Kooning (1960), Untitled (Blue Yellow e Green on Red del 1954) di Mark Rothko accanto a opere di artisti meno note, come William Baziotes, Walker che permettono però al visitatore di percepire una narrazione completa, complessa e diversificata dell’epoca.
”Nell’album fotografico della storia dell’arte”, scrive il curatore Luca Beatrice nel suo saggio, quello degli irascibili è tra gli scatti più famosi, come i Futuristi in abito da sera, come i Surrealisti vestiti alla moda, come i Dada immortalati da Stieglitz fino ai cinque della Transavanguardia in smoking. La loro condizione di protesta li mette in una condizione di far fronte comune, lavorare insieme, condividere successi ed eventuali difficoltà in maniera compatta”.