Personalmente sono sempre stato, e sono tuttora, aperto alla discussione e al confronto con le riletture e le interpretazioni della storia anche più lontane dalla mia formazione culturale e scientifica, dai miei valori di riferimento e dalle mie convinzioni politiche.
Ma ciò che è successo in occasione dell’ultima edizione del Premio “Acqui Storia”, ampiamente riportato dalla cronache locali, segna a mio giudizio un vulnus, tanto più grave in quanto palesemente ricercato, alla radice morale e civile della manifestazione.
Come parlamentare, ho ritenuto perciò mio dovere, con un breve intervento in aula, portare all’attenzione del Senato della Repubblica, del cui patrocinio il premio si avvale: tanto ciò che diversi testimoni hanno raccontato a proposito della imbarazzante giornata di sabato 19 ottobre, quanto le discutibili “opzioni scientifiche” sottese alla selezione, in particolare, di una delle opere premiate.
Dell’accaduto metterò al corrente, con la lettera che allego al presente comunicato, tanto il Presidente della Repubblica quanto i Presidenti di Camera e Senato, affinché essi vigilino, in vita delle future edizioni, e preliminarmente alla concessione del loro patrocinio, la coerenza tra i contenuti delle manifestazioni legate al “Premio” e i principi storici, civili e morali che ispirarono la sua istituzione.
Di seguito, il testo della lettera inviata dal senatore Borioli al Presidente della Repubblica, e ai Presidenti di Camera e Senato.
Signor Presidente,
il Premio “Acqui Storia” è stato istituito nel 1968 per iniziativa, tra gli altri, dello storico e scrittore Marcello Venturi, autore del libro “Bandiera bianca a Cefalonia”, per ricordare l’eccidio della 33^ Divisione di Fanteria che dalla cittadina termale piemontese prendeva il nome, e che fu massacrata a Cefalonia e a Corfù, nella seconda metà del settembre 1943.
Furono circa diecimila, tra i caduti in combattimento, i trucidati per rappresaglia e i morti in mare, i soldati e gli ufficiali italiani vittime della ferocia tedesca, che con il loro sacrificio riaccesero la speranza del riscatto di una nazione la cui dignità era stata gettata nel fango prima dal fascismo e poi dalla fuga ingloriosa della monarchia all’indomani dell’8 settembre.
Non a caso, nel 2001, in occasione della sua visita a Cefalonia, l’allora Capo dello Stato, Carlo Azeglio Ciampi, definì il massacro della “Acqui” come il primo atto della Resistenza italiana. E non caso il premio si pregia dell’adesione della Presidenza della Repubblica, nonché del patrocinio della Presidenza del Senato, della Presidenza della Camera, della Presidenza del Consiglio e del Ministero per i Beni Culturali.
Nel corso degli anni, proprio per questa sua radice profondamente insediata nella vicenda della liberazione e della rinascita dell’Italia, il premio “Acqui Storia” non solo è diventato il più importante premio storiografico italiano, ma è stato punto d’incontro tra le più significative figure della cultura antifascista e democratica italiana: vivace crocevia di confronto tra i più fecondi paradigmi della storiografia contemporanea.
Nuto Revelli, George L. Mosse, Valerio Castronovo, Ennio Di Nolfo, Andrea Riccardi, Nicola Tranfaglia, Claudio Pavone, Pietro Scoppola, Raul Hillberg, Giorgio Rochat, Paul Kennedy, Paul Ginsborg, Gaetano Quagliariello, Angelo D’Orsi, Elena Aga Rossi, solo per citarne alcuni, sono stati tra i vincitori che hanno illustrato la qualità scientifica del premio e la coerenza, nel corso degli anni, con l’ispirazione originaria, rendendo inoltre evidente con la loro appartenenza a scuole e ispirazioni tra loro differenti il carattere pluralista, sul versante culturale e storiografico, della manifestazione
Negli ultimi anni, tuttavia, si è venuta via via esprimendo, soprattutto per impulso dell’amministrazione locale, una volontà sempre più esplicita di smantellare in profondità la natura del premio, trasformandolo progressivamente in una eclettica e indifferenziata rassegna di filoni e personalità della cultura e dello spettacolo contemporanei, non solo indifferente alla radice storica, civile e morale da cui l’”Acqui Storia” è scaturito, ma addirittura finalizzata a rimetterne in discussione, se non a capovolgerne i capisaldi.
Tale tendenza ha assunto quest’anno, a giudizio di chi scrive, nonché dell’ANPI della provincia di Alessandria e di alcuni spettatori-testimoni presenti alla manifestazione conclusiva, i caratteri della vera e propria, esplicita profanazione e provocazione. Conferendo al premio “Acqui Storia” una connotazione che non risulta riconducibile neppure alla discussa categoria del “revisionismo”, ma appare piuttosto come una vera e propria operazione revanchista.
Come qualificare, infatti, diversamente il discutibile, rozzo con il quale Stella Bolaffi, autrice per Giuntina del libro “La Balma delle streghe. L’eredità della mia infanzia tra leggi razziali e lotta partigiana”, intervenuta per sostenere le documentate responsabilità italiane nella Shoah, è stata apostrofata, secondo il suo stesso racconto, da uno degli ospiti presenti sul palco?
E cosa dire del passaggio, raccontato dalla stessa Stella Bolaffi, in cui il presentatore della serata, secondo la testimone presente con il marito alla serata, avrebbe parlato del “tanto odio assopito, che si è risvegliato contro i funerali di Priebke”, banalizzando e ascrivendo al sentimento generico e negativo dell’odio la legittima e comprensibile indignazione popolare verso uno dei carnefici più sanguinari del secolo scorso, che ha fino all’ultimo minuto della sua vita ribadito le proprie spregevoli convinzioni?
E come giudicare, ancora, la decisione di assegnare il premio per la sezione del romanzo storico, a un’opera come “L’ultima notte dei Fratelli Cervi”, che seppure nella forma della libera ricostruzione romanzesca, trasforma una delle vicende-simbolo della Resistenza italiana al nazifascismo, in una sorta di regolamento di conti interno al movimento comunista emiliano?
L’ANPI della provincia di Alessandria ha giustamente protestato contro questa indigeribile rassegna di eclettismo culturale, infarcito di falsificazioni e strumentalizzazioni della verità storica. Ricordando, tra l’altro, come in quest’edizione, ricorrente nel 70° anniversario dell’eccidio della Divisione “Acqui”, neppure un cenno sia stato dedicato a ricordare quel fatto storico dall’enorme e incancellabile significato.
Ora, pur nel pieno rispetto della libertà di opinione e di pensiero, non è tollerabile che tale libertà possa essere fraintesa ed estesa a quelle che si configurano nel loro insieme quali vere e proprie contraffazioni della verità, organizzate ad arte per sminuire o addirittura stravolgere i fondamenti storici, morali e culturali della nostra democrazia repubblicana, che sono indissolubilmente legati alla vicenda dell’antifascismo e che, viceversa, ebbero nel fascismo il più acerrimo nemico.
Ed è particolarmente grave che ciò avvenga sotto le insegne di una manifestazione prestigiosa e nobile come l’”Acqui Storia”, che ha nell’antifascismo la sua radice genetica più autentica, e che si pregia dell’adesione delle più alte cariche istituzionali, tra le quali la Presidenza del Senato della Repubblica, cui compete il compito di custodire i valori della memoria democratica del nostro Paese.
Sarà in altra sede che, io credo, dovrà essere discussa più approfonditamente le modalità attraverso le quali evitare in futuro che il senso originario di questa, come di altre manifestazioni culturali legate alla ricostruzione democratica della nostra identità nazionale dopo la vergogna del ventennio fascista, venga così offensivamente travisato. Facendo ogni sforzo affinché, viceversa, ne vanga appieno valorizzata la funzione etica e civile nella formazione dei cittadini, in particolare più giovani.
Pare opportuno sin d’ora, però, segnalare la necessità di valutare in futuro, con il massimo dell’attenzione possibile, l’opportunità di legare il nome di questa Assemblea democratica a manifestazioni che non appaiano coerenti con lo spirito che animò i diecimila martiri della Divisione Acqui e le migliaia di giovani caduti della Resistenza italiana al nazifascismo, e che offendano la dignità delle centinaia di miglia di soldati mandati dal regime fascista a morire sui diversi fronti di una guerra insensata.
Senatore Daniele Borioli