Il c*** di noi boomers – 1 [Il Flessibile]

di Dario B. Caruso

Mai come in questo scorcio di vita mi sono reso conto di quanta fortuna abbiamo avuto noi boomers.
Intendiamoci, dei mali di oggi ne siamo corresponsabili; penso però alle esperienze che abbiamo vissuto, irripetibili per coloro che sono arrivati dopo.
Ve le racconto, a piccoli bocconi.

Le stelle dello sport
Negli anni Settanta eravamo bambini che giocavano a calcio in cortile. Appena il tempo lo consentiva (non c’era autunno o inverno che tenessero) calzavamo rapidamente le scarpe da ginnastica e via a dare calci alla palla.
Le partite potevano terminare per due ragioni: nella migliore delle ipotesi quando la mamma di qualcuno chiamava dal balcone per farci fare una scorpacciata di pane, burro e marmellata; nella peggiore quando ci si sbucciava un ginocchio e a quel punto si assisteva tutti alla medicazione con acqua ossigenata e lacrime.
Perché lo sport è anche fatica e dolore.
Ricordo il ribrezzo che provai quella volta in cui un portiere subì un tiro talmente forte che gli piegò letteralmente la prima falange del dito mignolo, era proprio a novanta gradi tra lo stupore e la curiosità dei più.

Gli sportivi illustri erano d’esempio, erano campioni nella propria disciplina ma anche semplici eroi del quotidiano.
Li vedevamo in qualche servizio al telegiornale o nelle dirette delle gare ma perlopiù li leggevamo sui giornali.
Fissavamo i loro caratteri fisici nella nostra memoria senza i filtri di interviste logorroiche e superflue, semplicemente studiandone i lineamenti sulla carta.
Pietro Mennea aveva un volto che pareva uscito da un quadro cubista eppure era bello; quando correva sulla pista sembrava volare ed era l’emblema di un’Italia che pur piccola sapeva costruire e farsi riconoscere quale unica.
Sara Simeoni ha rappresentato l’esempio di donna che supera i propri limiti con la dedizione e il sacrificio senza tradire l’essere donna.
Quando quel giorno con quelle gambe infinite ruppe la barriera dei due metri, le nostre madri si innamorarono di lei.

Per noi aspiranti calciatori le figurine Panini erano la bibbia.
Aprivamo le bustine che i genitori ci centellinavano nella speranza di trovare l’immagine di Gigi Riva o Roberto Bettega o magari di Dino Zoff.
Un momento epico fu il passaggio alla figurina adesiva, era decisamente più pratica anche se ci aveva sottratto il rituale della colla in barattolo, della paletta e delle mani impiastricciate.

(1 – continua)