Guardare un ritratto significa incrociare tre sguardi, quello dell’ artista, del modello e il nostro: gioco di sguardi, di rimandi, allusioni e subitanee emozioni, in cui ci si perde e ci si ritrova.
Quello del ritratto è uno dei generi pittorici più antichi e più frequentati dagli artisti di ogni tempo e luogo. Il ritratto non è scomparso con l avvento dell’ arte moderna e della fotografia, ma al contrario molti artisti lo hanno praticato per cercare nuove forme di espressività e di stile. Si parla proprio di ritratti nella bellissima mostra promossa dal Comune di Milano in collaborazione con il Centre George Pompidou di Parigi intitolata ‘Il volto del ‘900’, che ha luogo a Palazzo Reale di Milano sino al 14 febbraio 2014.
La mostra indaga attraverso lo studio del volto diversi temi: i misteri dell’anima, gli autoritratti, Il volto alla prova del formalismo, i volti in sogno del surrealismo, caos e disordini, dopo la fotografia e la disintegrazione del soggetto.
Sostare di fronte ad uno dei ritratti esposti in mostra significa provare subito un fortissima emozione, da Modigliani a Bacon, da Severini a Miro, da Picasso a Magritte ogni volto suscita riflessioni e sentimenti e cosi via….ma in particolare colpisce e merita un discorso a parte il ritratto di Magritte intitolato Lo stupro che è anche il simbolo della mostra.
Quanto mai è attuale il tema della violenza sulle donne, tanto opportuno sembra riflettere di fronte a quanto di inquietante e spesso realistico questo scioccante dipinto voglia significare.
Si tratta di un olio su tela di non grandissime dimensioni, realizzato da Magritte nel 1945, nel momento culminante della sua adesione al Surrealismo.
Nella prima versione del 1934 Lo stupro o Le Viol rispondeva alla nuova volontà di Magritte di rendere i suoi dipinti come risposte a ‘problemi’ ai quali egli rimandava con metodo.
Questo approccio conduce alla creazione di immagini che mandano in cortocircuito concetti associati in maniera convenzionale al tema preso in considerazione. Nel dipinto Magritte conserva del soggetto femminile solo gli elementi più marcatamente sensuali. La figura emana un potente carattere fascinatorio caratteristico di tutte le rappresentazioni di un volto frontale.
Nel dipinto del 1945, quindi seconda versione, Magritte semplifica la composizione e realizza una specie di zoom sul soggetto che riempie tutto lo spazio della tela. Gli occhi sono diventati seni, il naso è rappresentato dall’ombelico ed i genitali sostituiscono la bocca, mentre l’immagine ambigua del viso-torso è avvolta dalle morbide pieghe dei capelli: cosi scrive Magritte stesso in ‘La linea della vita’.
L’artista trasforma il volto di una donna in oggetto del desiderio, un corpo usato e gettato via e lo priva di individualità, di espressione e di sentimento, trasformandolo cosi in un mostro da usare a piacimento. La donna nei dipinti di Magritte appare sempre nuda, quasi come se la nudita’ fosse un attributo che la rende in qualche modo assolutamente casta, così come il male appare sempre vestito, da capo a piedi nei panni della rispettabilità. L’idea alla base di questo quadro colpisce per la sua disarmante verità. La raffigurazione efficace della violenza che lo sguardo di un uomo infligge quotidianamente al corpo di una donna. Il volto femminile è trasformato in puro oggetto di desiderio, in un corpo usa e getta. Parquet dice infatti che Magritte distrugge l’evidenza delle evidenze, quelle del volto, con un’evidenza ancora piu evidente, quell’immagine shock e il pensiero che vi è sotteso, la visione speculativa e la vista della vista sono le componenti chiave dell’opera magrittiana.