E’ morto. Il boia è morto. Nessuna gioia per la notizia, ma nemmeno alcuna pietà. Nessuna pace all’anima sua, all’anima nera che ha contribuito a costruire il feroce mosaico di morte che ha fatto inorridire chi, nel secolo scorso, possedeva anche un solo barlume di coscienza. E’ morto a cent’anni. Per ironia della sorte. Come se le maledizioni scagliate contro di lui non avessero fatto altro che renderlo più demoniaco. E pare che il suo portavoce abbia dichiarato che non sarà allestita la camera ardente. Una allegoria un po’ maldestra che ci inquadra l’ex ufficiale nazista per quel che era, un incubo nascosto dietro l’ipocrisia di essere solo un soldato che obbedisce agli ordini e che non vuole riconoscere quanto dietro a questa sua rigorosa disciplina militare si sia sviluppare la spietata scelta nazista (che non può e non deve prescindere dalle responsabilità individuali) di applicare le uccisioni di massa in modo freddo, schematico e quotidiano. Come un atto dovuto, ordinario, che nessun obiettivo finale riesce a giustificare. Il mostro (a cui non voglio dare l’onore di essere ricordato e riconosciuto nella sua identità di e come uomo grazie al nome che ci viene assegnato fin dalla nascita per distinguerci dal resto del mondo) era forse rimasto l’ultimo protagonista in vita della visione secondo cui l’umanità va strangolata tra i confini imposti dall’atrocità. Crudeltà sistematiche che hanno sempre visto il boia di turno, in terra italiana, sostenuto dalla collaborazione di fascisti nostrani, fatta indifferentemente di azione come di silenzio.
La notizia è rimbalzata in rete già nel pomeriggio di venerdì e mi è giunta alle orecchie (altra piccola casualità della sorte) pochi minuti prima di fare il mio ingresso nella Libreria Mondadori dove avevo scelto di assistere alla presentazione del volume di Bruno Maida “La Shoah dei bambini”, ovvero la ricerca avviata dal suo autore sulla persecuzione dell’infanzia ebraica in Italia nel periodo dal 1938 al 1945. Come avviene di solito in queste occasioni, l’incontro ruota attorno a elementi storici e alle narrazione di testimonianze. In questo caso, il tutto era finalizzato a sottolineare quanto, proprio a partire dallo sterminio dei bambini, si pensasse di realizzare la Shoah nella sua essenza, ovvero l’eliminazione alla radice della vita e negarne la naturale riproduzione. Un salto storico destinato a modificare la persecuzione del diritto (perpetrato negli anni dal 38 al 43 attraverso la discriminazione e l’attuazione delle leggi razziali) alla vera e propria deportazione per la morte fisica dell’ebreo che vede la sua prima applicazione in Italia nella strage di Meina. L’incontro si concluderà poi con un concetto preciso “il passato non è solo l’evento che è stato ma è l’oggi, è la vicenda che rivive,è la voglia di conoscere”.
Al rientro a casa, ancora una volta la sorte ha deciso di metterci il naso. Trovo la busta contenente un libro ordinato da tempo. Un breve romanzo del 1961 di Lorenza Mazzetti, Il cielo cade. La storia di Penny e Baby due bambine ebree che devono fare i conti con l’irrompere della brutalità della persecuzione antisemita, ma che “incapsulano il dolore come dentro una parentesi di buio” Oltre la quale subito la mitologia della loro infanzia riprende grazie alla ricchezza delle mille immagini che la vita offre a ognuno attraverso il lavoro, l’arte, le religioni, le relazioni sociali e le emozioni tutte riposte dentro di noi.
Quando la sorte invita alla speranza.