di Dario B. Caruso
Apro questo appuntamento settimanale con un ossimoro.
L’eccesso di democrazia non esiste poiché non è più democrazia.
Sarebbe come dire la amava a tal punto da ucciderla; possiamo definirlo eccesso d’amore?
Forse sì ma solo nei romanzi ottocenteschi, oggi non più.
L’amore – come la democrazia – esiste o non esiste.
In queste prime settimane di scuola ho cominciato a conoscere i fanciulli delle classi prime.
Undici anni, belli, entusiasti, sorridenti, rumorosi, cordiali, con tanta voglia di raccontare e raccontarsi.
Insomma, sono quelle lezioni che, nonostante l’autunno triste e piovoso, ti infondono serenità e speranza nel futuro.
“Non ti preoccupare, dagli qualche mese e li abbiamo belli che rovinati” direbbe un collega pragmatico e sulla soglia della pensione.
Stronzo.
Stronzo ma a volte realista.
Perché spesso siamo vittime noi stessi di una sindrome per cui l’adulto è di qua e gli studenti sono di là.
Almeno in queste prime lezioni provo comunque a praticare un esercizio di democrazia spinta.
Si mettono in campo domande sui massimi sistemi e i ragazzi, piccoli e spontanei, esercitano la pratica democratica della libertà.
La mia domanda preferita (indovinate un po’?) è che cos’è la musica?
E qui, in un brainstorming di frasi sconnesse, parole storpiate, neologismi gustosi, silenzi imbarazzanti, vengono fuori delle chicche da scolpire sul monte Rushmore.
Esco dalla classe, fiero non di me ma della loro perspicacia.
Pipì stop, caffè e riparto carico per la nuova ora di musica.