Arriviamo all’appuntamento fissato per il primo pomeriggio in leggero anticipo, ma non ci toccano ‘anticamere’. La professoressa Graziella Berta (nella foto), attuale direttore del Dipartimento di Scienze e Innovazione Tecnologica dell’Università Avogadro, ci accoglie con un sorriso nel suo ufficio di viale Milite Ignoto, al quartiere Orti, e chiede di non essere disturbata per un po’ dal via vai di collaboratori, per dedicare un po’ di tempo a spiegarci la realtà, articolata e composita, che dirige ormai da quasi due anni, “anche se all’Università di Alessandria sono arrivata più di vent’anni fa, sono quasi una memoria storica”. E, aprendo il cassetto dei ricordi, la professoressa Berta parte proprio da lì: da come l’Ateneo del Piemonte del Piemonte Orientale Avogadro (autonomo dal 1998: in precedenza ‘distaccamento’ di quello torinese) ha visto nel tempo svilupparsi un polo scientifico oggi autorevole e di riconosciuta qualità, a partire da corsi decentrati, con laboratori ricavati magari in un sottoscala, o in uno sgabuzzino.
“All’inizio eravamo anche a Palazzo Borsalino, oggi sede del Dipartimento di Giurisprudenza, Scienze Politiche, Economiche e Sociali (qui recente intervista al direttore Salvatore Rizzello, ndr), con distaccamenti per esercitazioni e laboratori un po’ovunque in città: da una palazzina dell’Asl agli istituti superiori Vinci e Volta. Nel frattempo fu messa a punto la nostra attuale sede, qui al quartiere Orti, che oggi è un vero ‘fiore all’occhiello’, sia per la didattica che per la ricerca. Grazie ad investimenti e risorse ministeriali, ma anche provenienti dal tessuto territoriale alessandrino, oggi abbiamo a disposizione una struttura accogliente e tecnologicamente qualificata, dove si studia bene, e ancora meglio si fa ricerca”.
Assolutamente da sfatare, dunque, il luogo comune che vorrebbe un polo ‘scientifico’ dell’Università Avogadro in regressione, almeno ad Alessandria. Voci probabilmente dovute ad improprie ‘sovrapposizioni’ con le sorti del vicino Politecnico, che la professoressa Berta ci tiene a smentire: “Naturalmente Università e Politecnico – precisa – sono due realtà completamente diverse, e io posso parlare per la prima, e in particolare per il mio Dipartimento. Che per fortuna cresce, e si sta sempre più radicando sul territorio alessandrino provinciale, in termini di collaborazioni costruttive con il mondo dell’industria, delle imprese in generale, e naturalmente anche, sul fronte pubblico, di realtà come Arpa, Asl e Ospedale, con cui abbiamo ottimi rapporti di collaborazione”.
Oggi il Dipartimento ha un’offerta formativa articolata (10 corsi di laurea triennale, 4 di laurea magistrale in biologia, scienze chimiche, informatica e fisica dei sistemi complessi, e un innovativo dottorato in Chemistry and Biology, con 12 posti, in comune con Novara, e che raggruppa sotto un’unica ‘egida’ diversi precedenti dottorati scientifici), e un numero di studenti che complessivamente quest’anno dovrebbero superare i 1.500, “anche se le iscrizioni sono ancora aperte, quindi si tratta di numeri per forza di cose approssimativi”. E’ comunque ormai una realtà, quella del Dipartimento di Scienze e Innovazione Tecnologica dell’Università Avogadro, dimensionalmente di medio livello, capace di coniugare una didattica di grande qualità (tutoraggi e collegamenti con il mondo del lavoro inclusi) ad una disponibilità di laboratori di eccellenza che, per un polo scientifico, rappresentano naturalmente un elemento imprescindibile. C’è, e la professoressa Berta non lo nega, un po’ di rammarico per l’avvenuta chiusura dei corsi di laurea in matematica e fisica, “dove avevamo docenti di grande qualità, e che rimane un comparto che offre ottime opportunità lavorative: purtroppo la riforma Gelmini fissò parametri rigidi, e a quelli ci siamo dovuti attenere”.
Ma qual è, per un Dipartimento scientifico universitario come quello alessandrino, il rapporto con il territorio, in particolare provinciale, di riferimento? “Molto forte – sottolinea il direttore – e da quando ricopro questo incarico, ossia gennaio 2011, ho cercato e sto cercando di renderlo ancora più saldo, sviluppando una serie di relazioni dirette con istituzioni locali e associazioni imprenditoriali quali Confindustria, Confapi, Confagricoltura. La natura dei nostri studi, in campo chimico quanto biologico in particolare, fa sì che siamo portati naturalmente ad interagire con il territorio: da un lato studiandolo ed analizzandolo, tanto dal punto di vista naturale e ambientale, quanto sul fronte dei progetti sviluppati in partnership con aziende. Posso citare, ma in maniera assolutamente non esaustiva, realtà con cui abbiamo collaborato, come Mossi e Ghisolfi, Solvay, Buzzi Cementi, ma anche tutta la filiera agroalimentare. Ma anche realtà pubbliche come Arpa e Asl, impegnato nell’analisi dello stato di salute dell’ambiente, e delle sue criticità”.
Curioso ed interessante, ad esempio, l’impegno dell’Università alessandrina al fianco dei produttori agricoli, con lo studio di microrganismi che possono essere utilizzati come biofertilizzanti naturali su tanti fronti: dalla produzione di pomodori allo zafferano, dalle fragole ai fagioli o ai meloni, per arrivare a produzioni al contempo più naturali e qualitative, “ma spesso aumentando anche la quantità dei prodotti. Così come stiamo facendo grandi passi in avanti, in laboratorio e poi sul campo, nella lotta alla flavescenza dorata, che è il maggior nemico dei nostri vigneti”.
E quali sono gli sbocchi lavoratori per i neo laureati in discipline scientifiche dell’Avogadro? “Nonostante la crisi economica – sottolinea Graziella Berta – la situazione occupazionale per i nostri laureati è buona, lo dicono le statistiche, ma anche la nostra percezione quotidiana. Gli informatici, ad esempio, spesso vengono contattati ed assunti anche prima della laurea, e nella bacheca del Dipartimento ci sono costantemente annunci di aziende che cercano profili giovani e specialistici. Sul fronte dei chimici e dei biologi, molto dipende anche dalla qualità del piano di studi, e dal tipo di tesi a cui si decide di lavorare: di esperti in microbiologia, ad esempio, c’è grande richiesta, e scarseggiano”. Un altro luogo comune da sfatare, a quanto pare, è quello degli alessandrini ‘bamboccioni’, che vogliono lavorare solo sotto casa: “Non so se sia mai stato vero – spiega la professoressa Berta -, ma certamente in questi ultimi anni non è così, e notiamo nei ragazzi notevole dinamismo. Una delle migliori studentesse di biologia degli ultimi anni sta lavorando in Francia, abbiamo diversi dottorandi che sono andati a lavorare in Spagna, Finlandia, Inghilterra: direi proprio che la mobilità per i nostri laureati non è un problema. Semmai, noto una nuova tendenza, che è quella a rinunciare al dottorato, preferendo cercarsi un lavoro subito dopo la laurea magistrale, da parte dei più bravi. Ma questa è una riflessione forse non solo alessandrina, e che forse va sviluppata anche all’interno del mondo accademico”.
Ettore Grassano