di Claudio Martinotti Doria
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E’ passato un discreto lasso di tempo da quando è montata localmente la polemica sull’ipotesi di denominare Langhe la frammentazione meridionale dell’attuale Regione Piemonte, su proposta degli studiosi della Società Geografica italiana, incaricati a livello ministeriale di elaborare aree amministrative regionali più omogenee e di minori dimensioni di quelle attuali.
Ma perché i geografi erano pervenuti a questa perla di saggezza, che “oscura” completamente il Monferrato? Nonostante sia lo stato preunitario più antico della penisola? Nonostante sia esistito per oltre sette secoli ed abbia dominato le Langhe fino all’annessione ai Savoia? Nonostante che nei due periodi di maggiore espansione (fine del XIII ed all’inizio del XV secolo) dominasse la maggior parte dell’attuale Piemonte oltre che di congrue porzioni e capoluoghi di quelle contigue?
Chiunque non conosca la storia del Monferrato e ne abbia solo letto qualche accenno descrittivo sulle riviste (anche di prestigio e successo) o su enciclopedie e tomi anche di una certa corposità, capirebbe facilmente il motivo che probabilmente ha indotto i geografi a simili conclusioni.
Il Monferrato è quasi sempre citato in modo superficiale, approssimativo e riduttivo, con ampio risalto solo degli aspetti enogastromici, quelli storico culturali molto meno. Quando è citato, perché a volte non lo è neppure. Altre volte si fa riferimento al Monferrato indicando territori che ne hanno fatto parte perifericamente e non significativamente, o addirittura estranei e rivali, dimostrando di avere le idee leggermente confuse.
Quando poi è trattato in associazione con le Langhe, come nelle pubblicazione a scopo turistico ricreativo, dall’apparente titolo paritetico di “Langhe e Monferrato”, allora il 90 per cento dello spazio è dedicato alle Langhe e solo il 10 per cento al Monferrato, seguendo peraltro stereotipi e banalità. E’ come se lo si dovesse citare perché inevitabile, ma lo scopo recondito, il vero obiettivo fosse quello di pervenire a parlare delle Langhe e solo marginalmente del Monferrato, in un confronto perdente in partenza, almeno secondo gli autori (che si presume siano stati adeguatamente “foraggiati” ed imbeccati) di questi molteplici testi, dall’attendibilità dubbia, almeno dal punto di vista documentaristico.
Questo evidentemente perché le Langhe hanno saputo “vendersi” molto meglio del nostro territorio, organizzarsi, gestirsi e coordinarsi meglio, e di questo è giusto riconoscergli merito. E poi il loro territorio ha saputo esprimere un maggior numero di scrittori di successo e ben rappresentativi ed anche un presidente della Repubblica ed una molteplicità di politici di spicco.
Ma occorre paradossalmente anche fare qualche riscontro obiettivo, attenendosi ai fatti, nudi e crudi.
Le Langhe dal punto di vista ambientale sono state devastate dalla cementificazione, molto più che il Monferrato (in questo caso dal confronto le Langhe sono assolutamente perdenti), salvo ovviamente gli ecosistemi che si difendono da sé per la loro morfologia o le proprietà private produttive dedite ai vitigni, noccioleti, pascoli, ecc., il resto è stato tutto devastato da un’antropizzazione eccessiva lusingata dalla moda, dagli eventi mediatici e dal successo del marketing territoriale.
E’ un fatto che il regista Guido Chiesa che ben oltre una decina di anni fa ha girato il film “Il partigiano Johnny” dal romanzo di Beppe Fenoglio, ha tribolato moltissimo per le location in quanto nelle Langhe non vi era quasi più nulla che rammentasse i territori descritti decenni prima da Fenoglio, ed ha impiegato mesi sguinzagliando una mezza dozzina di ricercatori per poi dover girare le scene a Montechiaro d’Acqui (il borgo Alto, che è nell’Alto Monferrato) e poi nelle Langhe a Neive, che con Monforte e Serralunga d’Alba sono gli unici paesi langaroli che ha individuato come abbastanza intatti rispetto ad un passato neppure tanto remoto.
In Monferrato di borghi con un centro storico ancora integro ed affascinante, con cascine ben recuperate secondo canoni tradizionali, paesaggi rustici e selvaggi, ne avrebbe trovati a decine, avrebbe avuto l’imbarazzo della scelta.
Probabilmente i geografi, non essendo storici, hanno rispettato quello che è l’approccio che finora si è avuto nei confronti del Monferrato nella cultura generalista, accennarne senza conoscerlo a fondo, e se dobbiamo dare un nome al Sud Piemonte è logico che si ricorra alle Langhe, ormai mitizzate a livello mediatico. Ma fortunatamente disponiamo ancora di un sano localismo (da non confondersi con il campanilismo, che è la nota dolente di ancora troppe realtà locali), che deriva dallo studio e dalla conoscenza della storia e del territorio, quanto basta per saperlo almeno tutelare da abusi e prevaricazioni indebite ed arbitrarie.