Putiferio va alla guerra

Patrucco Giancarlodi Giancarlo Patrucco
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Putiferio va alla guerra è un cartoon italiano del 1968 che narra la guerra fra due colonie di formiche, gialle e rosse. Io ho avuto l’avventura di vederlo a Mandrogne, durante il mio primo anno di insegnamento, mentre nel refettorio dove veniva proiettato i ragazzi della scuola scatenavano un vero e proprio putiferio di risate, urla di disappunto, oh di meraviglia, seguendo quell’avvincente avventura animata.

Perché ne accenno qui? Beh, perché l’inizio di quella storia somiglia in più punti alla storia che in questi tempi ci sta raccontando Berlusconi. Il Putiferio del ’68, infatti, conduce una strenua lotta contro le cattive formiche rosse, le quali partono per le loro scorrerie da un formicaio costruito dentro un vecchio elmetto nazista. Sostituite il nazista con il comunista e l’analogia è perfetta.

Putiferio organizza la resistenza, strenua, e se ne mette a capo. Da formica è femmina, ma anche Dio è madre e Berlusconi non può certo essergli da meno. Quindi, l’analogia tiene anche qui.

Persa la guerra, Putiferio passa alla guerriglia finché le formiche gialle e rosse dovrannoPutiferio scordarsi l’eterna rivalità che le anima per far fronte comune contro un terribile nemico che invade la valle: il formichiere. Anche di questi tempi c’è un terribile nemico: la crisi, che si mangia reddito, capitali, lavoratori e imprese. Logico a questo punto che il Putiferio nostrano, impavido combattente e generoso protettore dei deboli, offra alle formiche rosse le sue armate e il suo impegno. Quest’ultimo, ribadito più volte, solennemente, in Parlamento e nel Paese.

Il Putiferio del ’68 finisce qui, in gloria. Quello del 2013, invece,  sta finendo in tutt’altro genere cinematografico: la commedia all’italiana, o la farsa, o la tragicommedia. Vedete voi. Infatti, il nostro Putiferio ha un’idea diversa del pericolo incombente. Non è tanto la crisi quella che teme, bensì quel gigantesco formichiere della magistratura che vuol mangiarsi proprio lui, privandolo dei suoi beni, della sua libertà, del suo onore e della possibilità di difenderlo rivolgendosi ai cittadini.

Così, il nostro Putiferio per un po’ predica la pacificazione con le formiche rosse, ma in cambio si aspetta qualcosa. Che lo difendano loro, che lo proteggano, che gli offrano l’opportunità di tornare immacolato. Non è stato lui a sostenere per primo la necessità di una riconciliazione? Se Parigi vale una messa, la pace varrà pure un colpo di spugna, una nuova tavoletta dove poter scrivere insieme una nuova storia.

Non parlate al nostro Putiferio di stato di diritto. L’unico diritto che lo interessa è il suo. Non parlategli di sentenza irrevocabile. L’unico giudizio che considera inappellabile è quello degli elettori. Non ripetetegli che deve scegliere fra l’interesse nazionale e il proprio. Ha già scelto da tempo, quando ha deciso di entrare in politica vent’anni fa. La politica è come il poker: se non ti entrano le carte bluffi e, quando vai sotto, accusi qualcuno di barare. Nella confusione, arraffi chi può.

Non ho idea di come possa finire questa storia. In un paese normale non sarebbe neanche iniziata, ma qui siamo in Italia e in Italia può accadere di tutto e di più. Però, qualche consiglio agli altri giocatori, specialmente del Partito Democratico, vorrei provare a darlo. Così, basandomi sulla memoria più recente di un triste passato.

Quando Berlusconi fu costretto a rassegnare le dimissioni, nella bufera del 2011, il PD disse che avrebbe agito nell’interesse del Paese. L’Italia non aveva bisogno di elezioni, bensì di un governo che le impedisse di fare la fine della Grecia. Ricordate il famoso orlo del burrone? Bene. A quel punto, il Presidente della Repubblica teorizzò che per non finire nel burrone occorreva un governo di emergenza, istituzionale, retto da una figura al di fuori dei partiti, ma di eccelsa reputazione in Europa. Fu scelto Monti, il PD disse sì. Il PdL pure.

Chissà quante volte i Democratici si sono mangiati le mani, pensando che con quel loro gesto avevano buttato al vento una vittoria pressoché sicura e permesso a Berlusconi di risedersi al tavolo da gioco.

Ma, subito dopo il siluramento di Monti e il risicatissimo risultato elettorale, esisteva una finestra di possibilità che lo escludesse davvero. Fu l’indegno pastrocchio delle elezioni presidenziali a chiuderla, richiamando in campo Napolitano e generando il governo delle “larghe intese”. Anche qui, chissà quante volte i Democratici si sono mangiati le mani per aver sprecato l’occasione.

Ora ci risiamo. La partita è ricominciata e io vorrei, sommessamente, ricordare ai maggiorenti democratici che il loro popolo e il loro Paese hanno già dato. Ci pensino due volte, quando Napolitano ripeterà che l’Italia non può permettersi di restare senza governo e incaricherà qualcuno di andare in Parlamento a cercare una maggioranza nuova. Governo istituzionale, governo del Presidente, governo di scopo, governo di emergenza.
Se non basta pensarci due volte, pensateci tre, cari Democratici. Alla minima puzza, chiudete quel portone.