di Enrico Sozzetti
Il caso della Cgil è esemplare, sia a livello nazionale, sia locale. L’incapacità di affrontare, analizzare e comprendere i processi economici e le loro conseguenze sul mercato senza filtri ideologici rischia di accentuare disaffezione e partecipazione, come dimostra la profonda difficoltà a rappresentare il nuovo mondo del lavoro che non ha alcun interesse per riti e copioni del passato
La società deve fare i conti con la crescente frattura tra il reale e il virtuale, dove il secondo sembra essere l’ombelico del mondo anche quando rappresenta solo una percentuale minoritaria della popolazione. Ma deve fare i conti anche con un’altra fattura: quella tra l’universo della rappresentanza sindacale e l’economia reale. Sull’edizione del primo maggio de Il Foglio, Luciano Capone, ha scritto un articolo che ha riassunto ancora una volta, spiegandoli e non piegando la statistica a interessi di parte, i numeri del mercato del lavoro italiano. Quindi ha commentato: “Quante delle tetre previsioni di Maurizio Landini, segretario nazionale della Cgil, si sono verificate? L’Italia ha un mercato del lavoro forte come non mai: gli occupati sono arrivati alla cifra record di 23,8 milioni, con un tasso di occupazione al 62 per cento. Per giunta, il lavoro è diventato anche più stabile e meno precario. Ed è ancora molto robusto, dato che da quasi due anni, secondo l’Istat, il tasso di posti vacanti è ai massimi storici dell’ultimo decennio (2,3 per cento): vuol dire che le imprese cercano personale, ma fanno fatica a trovarlo. E quando lo trovano se lo tengono stretto: assumono con contratti a tempo indeterminato per evitare di affrontare in futuro nuovi costi di ricerca e selezione del personale. Insomma, quello che si vede è l’esatto contrario della catastrofe preannunciata da Cgil e Uil”.
Il pezzo si chiude citando una ricerca di quattro economisti (Agnolin, Anelli, Colantone e Stanig), pubblicata sulla rivista Eco, nuovo mensile di economia, che parla di una crisi profonda del sindacato che deve fare i conti con un tasso di sindacalizzazione in forte contrazione negli ultimi vent’anni. “L’Italia – scrivono i ricercatori – rischia di raggiungere i livelli di partecipazione sindacali più bassi dell’Europa occidentale, quelli della Francia, che ha sindacati agguerriti ma con bassa adesione tra i lavoratori”. Prosegue il giornalista del Foglio: “È proprio la tendenza conflittuale e ideologica che la Cgil sta mostrando negli ultimi anni. Una strada per recuperare adesioni è quella di occuparsi di più dei rinnovi contrattuali che dell’opposizione politica al governo. Sarebbe un modo per avvicinare al sindacato le centinaia di migliaia di dipendenti assunti con contratti stabili in questi anni e che sono entrati nel gioco della contrattazione collettiva. Soprattutto considerando che Fratelli d’Italia, il partito di Giorgia Meloni, è la prima forza politica tra i lavoratori”.
La distanza misurata a livello nazionale, trova l’ennesima conferma in provincia. Le cronache del Primo maggio alessandrino parlano di interventi dei segretari delle tre organizzazioni abbastanza simili e conformati più ai tradizionali stereotipi sindacali piuttosto che a una visione realistica del mondo del lavoro. Esemplare l’intervento di Franco Armosino, segretario generale della Cgil, che ha parlato delle difficoltà dell’Ilva (uno degli stabilimenti è a Novi Ligure, ndr) e “dell’assenza di un futuro chiaro”, della crisi del mercato dell’auto in Italia “che travolge a cascata tutto l’indotto automotive anche in provincia (anche se l’indotto si è contratto enormemente nell’arco dei decenni rispetto all’epoca della monocultura industriale della Fiat, ndr). Tutto questo si traduce in una grande incertezza per i posti di lavoro e per il futuro di un settore che viene spinto dai grandi produttori verso i paesi del nord Africa“. E poi ecco il passaggio che forse più di altri dimostra la distanza dal mondo reale: anche settori come la logistica sono “caratterizzati da un lavoro povero”. La profonda diversificazione dei profili professionali, molti di quelli richiesti sono unicamente rivolti a laureati e specializzati, pare del tutto sconosciuta a un sindacato che sembra liquidare il comparto unicamente come a basso valore aggiunto. La difficoltà a trovare, e formare, personale altamente qualificato è il risultato non solo di percorsi scolastici e formativi che solo ora stanno muovendo i passi in questa nuova direzione (benché in provincia di Alessandria non manchino alcune eccezioni estremamente positive), ma anche da un sistema fatto di pubbliche amministrazioni, sindacati e mondo della rappresentanza che non ha ancora capito esattamente di quale lavoro si stia parlando, di come sia in rapida evoluzione l’intero sistema e, innanzitutto, che quella di cui si parla non è la logistica che porta a casa la merce che si compra sul web, bensì quella industriale a tutto tondo che coinvolge tutti i settori produttivi e che muove, lei sì, tutto quanto.