di Bruno Soro
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“E’ encomiabile che il centrosinistra italiano voglia evitare di spaccare in due il paese con esiti pericolosi e potenzialmente violenti. Ma devono esserci dei limiti, e chiari, a questa apparentemente infinita arrendevolezza.”
Paul Ginsborg, “Salviamo l’Italia”, Einaudi, Torino 2010, p. 111.
Due, secondo il Presidente del Consiglio Enrico Letta, sarebbero i motivi per cui il deficit (in rapporto al PIL) dell’Italia avrebbe superato la fatidica soglia del 3%, con il rischio di incorrere nuovamente nella procedura di infrazione dei parametri imposti dall’appartenenza (e dalla permanenza) nell’Eurozona: un calo maggiore previsto del PIL nel 2013 (- 1,7%, anziché -1,4%) e l’instabilità politica. Entrambi questi fattori favorirebbero un innalzamento del differenziale del tasso d’interesse sui titoli del debito pubblico italiano rispetto a quello corrisposto sui titoli del debito tedesco (lo spread), la qual cosa farebbe gravitare l’ammontare degli interessi rendendo in tal modo ancor più gravoso il carico fiscale dei contribuenti e favorirebbe la messa in moto di quel processo (già sperimentato) che ha portato alla caduta dell’ultimo Governo Berlusconi e alla formazione degli ultimi due governi delle “larghe intese”.
Il superamento della soglia del 3% significherebbe infatti il mancato raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica del Governo Letta, con le inevitabili ripercussioni in termini di sfiducia dei mercati finanziari, cui farebbe seguito il declassamento del nostro debito pubblico da parte delle agenzie di rating, l’accentuazione della tendenza all’aumento dello spread (che porta con sé un ulteriore aggravio degli interessi sul debito), rendendo così inevitabile il ricorso a nuove misure fiscali. A distanza di pochi giorni, alle dichiarazioni del Presidente Letta hanno fatto seguito quelle del ministro per i rapporti col Parlamento Dario Franceschini, che ha lamentato (riferendosi però ai ministri in quota al centrosinistra) di essere stati lasciati “soli a difendere la stabilità del paese”.
Dei due fattori citati, il primo, il maggior calo del PIL, ha un effetto facilmente quantificabile da parte degli esperti del settore (leggi il Ministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni), dal momento che se in un rapporto il denominatore (nel nostro caso il PIL) diminuisce, automaticamente il rapporto aumenta anche a parità del numeratore (il deficit). Il secondo fattore, invece, è molto più sfuggente e soggetto a giudizi di valore che lo rendono molto meno quantificabile. Detto in altri termini, qual è il costo dell’instabilità?
Il concetto di stabilità, di cui l’instabilità è l’opposto, varia infatti in maniera alquanto significativa a seconda della disciplina alla quale si riferisce. Tanto per fare qualche esempio, mentre nella chimica la stabilità consiste nella “tendenza di un composto a non subire alterazioni che ne provochino variazioni di composizione e di struttura”, nella scienza delle costruzioni essa esprime la “condizione particolare di equilibrio di un corpo, per cui, spostandolo di poco dalla posizione di equilibrio stabile, tende a riassumerla”, mentre nella fisica nucleare rappresenta la “condizione in cui il nucleo si trova in una configurazione tale da impedirne il decadimento” (cito dalla Garzantina delle Scienze). Quale significato non ambiguo si può attribuire al concetto di stabilità nelle scienze sociali?
Nella branca dell’Economia che studia i sistemi dinamici, il termine stabilità può assumere due diverse forme a seconda del tipo di legge che governa il sistema. Così, un allontanamento dall’equilibrio può dare luogo ad una forma in cui il sistema “può evolvere restando nelle vicinanze della configurazione di equilibrio abbandonata”, ma anche ad una forma in cui il sistema “può tendere a riportarsi verso l’equilibrio abbandonato”.
Nella situazione di instabilità, invece, “il sistema può allontanarsi sempre più dall’equilibrio” [S. Bertuglia e F. Vaio, “Non linearità, caos, complessità”, Bollati Boringhieri, Torino 2003, p. 69]. Nel sistema politico, i concetti di stabilità e di instabilità possono assumere diversi significati a seconda del contesto e del ragionamento al quale si riferiscono. Per il Presidente del Consiglio Enrico Letta, l’instabilità appare legata alle tensioni che minano la durata del suo governo, mentre per il Ministro Franceschini la stabilità (politica) del paese sembra riguardare la precarietà dell’alleanza delle larghe intese.
Di una cosa sono certo: il costo (in termini di consenso) che il Partito democratico sta pagando per sostenere un Governo di cui esso solo sembra assumersi appieno la responsabilità aumenta quotidianamente (a tutto vantaggio dei suoi nuovi, la rinata Forza Italia, e vecchi, il Movimento 5 stelle, avversari). In politica, dunque, di stabilità a qualunque costo si può anche morire. A volte, soprattutto se si ha chiaro in mente l’equilibrio che si vuole raggiungere, può essere più vantaggiosa l’instabilità. Al PD, posto che intenda riconquistare il consenso e la credibilità perduti, ciò che manca è una visione chiara di ciò che vuole essere dopo l’inevitabile cambiamento. La qual cosa comporta però una qualche forma di (temporanea) instabilità.