“E’ come vedere tua figlia che scappa con un fricchettone su una R4 a passare l’estate in Salento”. Tra tutti i commenti e le analisi che abbiamo letto ieri on line, sui giornali e sui social network, questo è decisamente il più divertente, e forse calzante.
Telecom Italia agli spagnoli (ma anche Air France pronta a salire in Alitalia, e Finmeccanica nel mirino dei coreani) ci consegnano un quadro desolante quanto realistico dello stato di salute del Paese, e del sistema Italia. Nazione depredata e spolpata, oppure allegramente in svendita, fate voi. Quel che è certo è che il Bel Paese è ormai terra da sbarco e conquista, “e almeno impareremo le lingue”, dice un mio spiritoso amico, che al telefono già risponde ‘hola’, anzichè ‘pronto’. E giù risate. Perché diciamocelo, in realtà a noi italiani (nazionale di calcio a parte, ma solo quando vince) dell’orgoglio patrio ci importa una pippa. E’ così da sempre, per ragioni storiche di lungo corso. Ma ancor più oggi, in cui l’identificazione del popolo con la classe dirigente che rappresenta il Paese, politici in primis, è inesistente. Anzi, c’è ostilità aperta, conflittualità, disprezzo.
Per cui sono “loro”, è vero, che svendono Telecom, Alitalia, Finmeccanica, e magari domani il Colosseo. Ma del resto quella è sempre stata roba “loro”, quindi a noi che ci cambia? Anzi, magari i nuovi padroni porteranno una ventata di innovazione vera, di trasparenza, di normalità se non addirittura (pura astrazione concettuale per questo Paese) di meritocrazia.
Così pensiamo tutti noi, chi più chi meno. Perchè negarlo?
Certo, l’importante è che, se non altro, i nuovi padroni facciano piazza pulita dei vecchi. Per non finire come nel primo coro dell’Adelchi del Manzoni: “col nuovo signore rimane l’antico, l’un popolo e l’altro sul collo vi sta”. Allegria!