di Dario B. Caruso
“Sanremo è la casa degli italiani”
Gigliola Cinquetti – 10 febbraio 2024
È come quando ti squilla lo smartphone.
Lo prendi e sai chi ci sarà dall’altro capo del filo (filo che non c’è più).
Il display anticipa la voce che ti risponderà, un familiare, un amico, una moglie, un collega di lavoro, il commercialista, il tecnico della caldaia, perfino un call center o qualcuno di cui faresti volentieri a meno.
È come quando giochi a pallone.
Sai che il tuo compagno di squadra ti passerà la sfera esattamente lì, con quella forza e quella velocità e quel tempo.
E quindi arriverai a prenderla comodamente, l’unica incognita è il tuo controllo ma la palla è a portata di piede.
È come il Festival di Sanremo.
Ogni anno aumentano i concorrenti e modificano le formule e i criteri di votazione ma gli spettatori accorti hanno comunque la ragionevole certezza di chi vincerà prima ancora che si apra il sipario nella prima serata.
Abbiamo bisogno di punti fermi.
In un mondo in cui l’incertezza è dietro ogni angolo, esiste la necessità di trovare porti sicuri.
Scriveva Mark Twain in un’altra era:
“Tra vent’anni non sarete delusi dalle cose che avete fatto ma da quelle che non avete fatto. Allora levate l’ancora, abbandonate i porti sicuri, catturate il vento nelle vostre vele”.
Oggi non è più tempo di salpare verso l’ignoto.
Mi rattrista molto constatare che ai ragazzi di oggi non consegnamo il senso dell’avventura.
Li abbiamo abituati ad arrivare a destinazione con una telefonata.
“Per arrivare all’infinito, e credo vi si possa arrivare, abbiamo bisogno di un porto, di uno soltanto, sicuro, e da lì partire verso l’indefinito”
(Fernando Pessoa – Il libro dell’inquietudine)