“Lo ricordo come fosse ieri, quel pomeriggio dell’aprile 1977. Eravamo Massimo, Franco, Pappo ed io: e Giusy, naturalmente. Studi di Castelletto d’Orba: meno 3, 2, 1: ‘signore e signori buongiorno, benvenuti a Teleradiocity’. Naturalmente tutto in diretta, e senza rete”. Roberto Paravagna ha l’entusiasmo dell’eterno ragazzo, e quando parla di radio e tv locali si illumina, lo capisci subito che è il suo pane, casa sua. Ci ha impiegato anni per mettere insieme editore, sponsor istituzionali, e soprattutto protagonisti di quasi quarant’anni, ormai, di radio, tv e infine pure web locale (ci siamo anche noi di CorriereAl: grazie!), ma alla fine ce l’ha fatta, e il risultato è notevole. Il libro “Amo la radio, perché…”, in distribuzione in questi giorni nelle principali librerie della provincia (edizioni Joker, Novi Ligure) è una lettura non solo godibilissima, ma imprescindibile per tutti coloro che questo ormai lungo percorso l’hanno vissuto più o meno da protagonisti, o anche semplicemente da ascoltatori/telespettatori e, oggi, anche lettori online. Ci troverete un sacco di aneddoti, storie, foto e curiosità del panorama editoriale di casa nostra, dalla metà degli anni Settanta ad oggi. Raccontate con l’entusiasmo di chi, all’epoca ragazzo, contribuì a far diventare realtà il sogno della radio, e della tv di casa nostra (Roberto Paravagna fu tra l’altro uno degli autori, e il protagonista insieme a Giusy Lercari e al ‘mitico’ leprotto Milcaro, di Topo Club, poi Anni Verdi, trasmissione ‘culto’ per i ragazzini dell’epoca, tra cui chi scrive, a cavallo tra la fine dei Settanta e l’inizio degli Ottanta).
Roberto, quanti anni ci hai messo per dare alle stampe “Amo la radio, perché…”?
Lascia stare. E’ stato un parto davvero travagliato, ma ce l’abbiamo fatta, e questo è l’importante. Sono passati in realtà alcuni anni, ormai, da quando mi presentai con questa mia idea folle in Provincia ad Alessandria, senza conoscere nessuno. Ricordo che, all’epoca, ne parlai per primo con Giorgio Abonante, non nella sua veste attuale di politico, ma di addetto dell’assessorato alla Cultura. L’idea gli piacque molto, è stato il primo a crederci, e a parlarne a Rita Rossa, all’epoca assessore a Palazzo Ghilini, e al presidente Filippi. La Provincia ha sostenuto il progetto, che ha anche il patrocinio del comune di Alessandria. E da lì sono partito per un lungo viaggio. Entusiasmante, direi, e che mi ha consentito di rincontrare o anche solo risentire tanti amici.
Il titolo è un omaggio musicale, e non solo…lo spieghiamo a chi non aveva vent’anni negli anni Settanta?
Certo: “Amo la radio perché arriva dalla gente/entra nelle case e ci parla direttamente/se una radio è libera ma libera veramente/ piace anche di più perché libera la mente” è la quartina più celebre della canzone di Eugenio Finardi, molto in voga in quegli anni. Non era solo una canzonetta, era quasi un manifesto generazionale, che spiegava efficacemente cosa significassero, per noi ventenni dell’epoca, le radio libere. E Finardi nel libro c’è, naturalmente, con una bella intervista concessami alla fine di un suo concerto.
Il libro, in realtà, vola alto: parti con una citazione di Bertold Brecht, e ripercorri un po’ la storia del mezzo radiofonico, e il suo ruolo nella storia, dal Titanic a Radio Londra, dalle radio pirata alla mitica figura del disc-jockey. Ma è quando arrivi ad occuparti di casa nostra che la storia si fa davvero appassionante, e originale. Partiamo da lì?
Eh, la mitica stagione delle ‘radio libere’, come dicevamo allora. In realtà, come sempre, Milano era partita un pugno di mesi prima di noi, con esperienze come Radio Milano International. E poi c’era Telemontecarlo della prima ora, quella di Jocelyn, Awana-Gana e tanti altri, che era un po’ il nostro modello di radio portata in tv, a pensarci bene. E, più o meno in parallelo, si svilupparono nella nostra provincia, a partire dal 1976, diversi progetti innovativi, prima di radio, e poi di tv locale. Per Alessandria cito Radio Alessandria International, Radio Cosmo, Radio Bbsi, Radio Gamma, Radio West. Ma nel libro ce ne sono tante altre, e si spazia su tutto il territorio, da Voltaggio a Casale. Certamente anche con qualche ‘buco’, che magari l’uscita del libro aiuterà a colmare. A Torre Garofoli, ad esempio, frazione di Tortona, mi ricordo benissimo Mela Radio. Ma non sono riuscito a rintracciare i suoi fondatori: ora magari si faranno vivi loro, chissà…
E poi, Roberto, uno spazio particolare nel libro lo riservi a Teleradiocity…
Beh, sì, e almeno per due motivi: il primo affettivo, visto che io c’ero, arrivo da lì, e lì ho lavorato a lungo. Il secondo è che, oggettivamente, si trattò del progetto editoriale più solido e lungimirante del nostro territorio, grazie alla ‘visione’ di quel grande imprenditore che è Giorgio Tacchino. Radiocity cominciò le trasmissioni, da Castelletto d’Orba, nel marzo del 1976. Avevo 22 anni. E ricordo perfettamente quel pomeriggio di un anno dopo, aprile 1976, quando insieme a Massimo Citro, Franco Dutto, Paolo ‘Pappo’ Vignolo (che ahimé non c’è più), e naturalmente Giusy Lercari, ci ‘buttammo’ letteralmente in video, in diretta, sul modello della ‘radio in tv’ già sperimentato da Telemontecarlo, ma assolutamente nuovo per la provincia di Alessandria, e non solo per noi.
Chi era bambino in quegli anni ti ricorda, insieme a Giusy, e naturalmente al ‘mitico’ Leprotto Milcaro, protagonista di una tv dei ragazzi musicale per l’epoca assolutamente innovativa. C’era anche il video di Grease, con Travolta e Newton-John…ti ricordi?
E come no! Della trasmissione ero anche uno degli autori, oltre che conduttore: si chiamò prima Topo Club (e io ero Topo Roberto per via dei mie denti prominenti: nacque tutto da lì mi sa…ma lasciamo perdere..), poi Anni Verdi. Andammo in onda dal 1977 al 1982 o ’83: un successo incredibile.
Intanto le radio via via si ‘decimavano’: cosa successe?
Mah, credo si tratti di un fenomeno inevitabile: quando esplode un nuovo media, che riesce a dar voce in modo così dirompente ad una nuova generazione (e all’epoca eravamo tanti: l’Italia era un Paese giovane, e pieno di entusiasmo), è inevitabile che ci sia una fase di grande effervescenza, in cui le iniziative si moltiplicano. Poi siamo diventati grandi: alcuni progetti si sono dati una veste più professionale, guardando inevitabilmente anche al conto economico, altre sono naufragate. Un aspetto che nel libro diversi intervistati evidenziano è proprio questo: il settore radio televisivo locale è stato anche, per decenni, una straordinaria leva di crescita economica. Non solo perché hanno dato e danno lavoro ad un certo numero di addetti, ma perché attraverso radio e tv locali è cresciuta l’economia del territorio. Certi marchi mitici degli anni Ottanta e Novanta, anche senza citarli, ce li ricordiamo tutti. E sul fatto che, nello specifico, Tacchino e Telecity abbiano avuto un ruolo decisivo nell’affermarli non solo come attività economiche, ma addirittura come fenomeni di costume, non ci piove….
Roberto, il libro dedica la parte finale al web alessandrino, e anche a noi di CorriereAl, per cui grazie. Sarebbe facile attribuire a Internet lo stesso ruolo di innovazione che fu delle radio negli anni Settanta. Però oggi parliamo di un’economia in contrazione, di un Paese vecchio e alle prese con la paura del futuro, anziché con tanti sogni, e magari anche progetti visionari, come fu allora….
Ah, mica vuoi farmi fare la parte dell’anziano che rimpiange i tempi in cui era giovane, vero? (ride divertito, ndr). Però certo, quel che dici è vero: oggi il web è ugualmente innovativo, ma racconta un’Italia ben diversa, ripiegata su sé stessa. Però, attenzione: nonostante la crisi economica abbia portato anche lì le sue ripercussioni, le tv locali, e soprattutto la radio, sono tutt’altro che morti, e rimangono media giovani, secondo me, quanto a immediatezza e capacità di ascolto e coinvolgimento della gente. Proprio come cantava Finardi nel suo mitico pezzo? Certo, bisogna sapere fare…..
Roberto Paravagna, dagli anni Settanta ad oggi, ha fatto più radio o più tv?
Entrambe direi, sia come autore che come conduttore. Con incursioni anche in ambito commerciale, se pensiamo al periodo più recente, in cui mi sono occupato spesso di rubriche e approfondimenti sul mondo di auto e motori. E non mi spiacerebbe esplorare con più intensità lo strumento web, vedremo.
E poi c’è il Paravagna musicista, che sei sempre tu…
Eh sì, grazie per averlo ricordato. Ho scritto e interpretato nel tempo centinaia di canzoni, per bambini come le hit dei tempi del leprotto Milcaro, ma non solo. E spesso insieme al mio coautore e amico Franco Crotti, musicista novese che cito volentieri. Dal 2000, poi, faccio parte del gruppo Geremia e gli amici, che è nato per portare nelle piazze e nei locali un progetto legato alle musiche di Fabrizio De André; e soltanto ad agosto, per farti un esempio, abbiamo fatto 15 concerti….
Il nome Geremia e gli amici è bizzarro…da dove salta fuori?
(ride nuovamente, ndr) E’ sempre colpa mia, come ai tempi di Topo Roberto. Quando cominciammo, gli altri musicisti mi prendevano in giro perché sono il più vecchio del gruppo, e poi mi lamentavo spesso dei miei acciacchi. Così han cominciato a dirmi: “ma basta Roberto, sembri Geremia, il personaggio di Alan Ford”….l’anziano pieno di dolori, appunto. Da lì è scattata l’idea del nome, che ci ha portato fortuna!
Ettore Grassano