Il senso della visual radio [Il Flessibile]

di Dario B. Caruso

Le esperienze multisensoriali rappresentano una fissazione dell’uomo evoluto, dove per evoluto si intende l’uomo che non si basta più e desidera trascendere i confini.
Negli ultimi decenni la fissazione si fa ossessione e l’uomo post atomico inventa l’impensabile.

La settima arte è quella che maggiormente si presta ad essere presa, rivisita, maltrattata, travisata. Il cinema infatti è il luogo deputato a fornire esperienze immersive.

Cinerama (1946)
Visione a 120 gradi la cui realizzazione prevede la simultanea ripresa di tre camere secondo angolazioni precise e modalità complesse.

Emergo (1958)
Comparsa in sala di oggetti estranei, fantasmi, scheletri o altro che accompagnano le immagini sullo schermo.
Ambulanza all’uscita dei cinema per possibili malori tra il pubblico.

Illusion-o (1960)
Alla biglietteria vengono forniti occhiali speciali che permettono la visione di presenze inquietanti in sala, presenze non rilevabili senza gli appositi occhiali.

Smell-o-vision (1981)
Alla cassa oltre al biglietto si acquista una card con dieci piastrine; tali piastrine, strofinate al momento giusto, emettono odori e profumi specifici per accompagnare il film attraverso questa tecnica olfattiva sperimentale.

Il cinema è così.
Consente approcci vari, per tutti i gusti e – in un certo senso – per tutti i sensi.
La radio nasce per essere ascoltata.
E basta.
La radio parlata, suonata, cantata è per definizione colonna sonora di ciò che ti circonda.
Sei in auto, corri sul lungomare, fai la spesa al supermercato, nella pausa pranzo, disteso sul divano. E immagini.
Immagini i volti degli speakers, le acconciature e l’abbigliamento, le smorfie e i sottotesti, immagini l’arredamento e i colori dello studio, immagini distanze e qualcosa che certamente non c’è.
La visual radio è una forzatura.
Non so pensare a chi possa essere utile.
Toglie poesia a un mondo che spalanca lo spazio alla fantasia.
La radio, insomma, è come un buon libro che mai diventerà film.