Però vi sentiamo [Il Flessibile]

di Dario B. Caruso

L’otto marzo è passato, anche quest’anno.
C’è chi lo vive come atto formale, come un giorno come un altro, addirittura c’è chi lo declassa a scocciatura.
Personalmente lo annovero tra le feste comandate come il Capodanno o il 25 aprile.

La Festa internazionale della Donna si ispira ad una tragedia dell’inizio del secolo scorso che vide morire più di cento lavoratrici, per lo più immigrate, in una fabbrica di New York.

Le donne della mia famiglia sono poche ma fondamentali.
Ho il ricordo della voce di mia nonna che la domenica mattina cucinava cantando Mamma mia dammi cento lire oppure Parlami d’amore Mariù con quel vibrato naturale, di chi non ha studiato canto ma ha cantato molto, per far passare le attese.

Riconoscevo l’umore di mia madre dal tono di voce, sapevo ad ogni frase se avrei dovuto preoccuparmi perché stava arrivando una sgridata oppure se – da lì a breve – avrei ricevuto un abbraccio; possedeva uno strumento musicale perfetto, colonna sonora di molti anni.

La voce di mia sorella è cambiata con me nel tempo, la ricordo neonata, bambina, adolescente e oggi adulta, riconosco tutte le sfumature.
Mia moglie mi conosce bene, da quarant’anni. Lei sa come indispettirmi passando dal tono di voce dell’arpa, suadente, al timbro ficcante di una tromba di cavalleria; per questo motivo giochiamo spesso e ci scherniamo a vicenda.

Schlein e Meloni citano all’unisono un libro dell’attivista americana Lisa Levenstein, ancora una volta non ci hanno visto arrivare.
Non vi preoccupate, dico io: non vi vediamo però vi sentiamo.
Ed è sempre una Festa.