Mercoledì all’Alessandrino Franco Branciaroli con Il Mercante di Venezia

Con i suoi potenti temi universali “Il mercante di Venezia” di William Shakespeare – rappresentato per la prima volta a Londra nel 1598 – pone al pubblico contemporaneo questioni di assoluta necessità: scontri etici, rapporti sociali e interreligiosi mai pacificati, l’amore, l’odio, il valore dell’amicizia e della lealtà, l’avidità e il ruolo del denaro.

È un testo fondamentale che il Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia assieme al Centro Teatrale Bresciano e al Teatro de Gli Incamminati producono in un nuovo, raffinato allestimento firmato da Paolo Valerio: lo interpreta una notevole compagnia d’attori capeggiata da Franco Branciaroli, che offrirà una prova magistrale nel ruolo di Shylock, figura sfaccettata, misteriosa, crudele nella sua sete di vendetta, ma che spiazza gli spettatori suscitando anche la loro compassione.

A lui, ebreo, usuraio, si rivolge Antonio, ricco mercante veneziano, che pur avendo impegnato i suoi beni in traffici rischiosi non esita a farsi garante per l’amico Bassanio che ha bisogno di tremila ducati per armare una nave e raggiungere Belmonte, dove spera di cambiare il proprio destino. Shylock che ha livore verso i gentili e sete di vendetta per il disprezzo che gli mostrano, impone una spietata obbligazione. Se la somma non sarà restituita, egli pretenderà una libbra della carne di Antonio, tagliata vicino al cuore.

Parallelamente allo scellerato patto che Antonio sottoscrive, evolvono altre linee del plot creando un’architettura drammaturgica di simmetrie e specularità dense di senso.

C’è la dimensione di Belmonte, una sorta di Arcadia dove la nobile Porzia, obbedendo al volere del padre, si concederà in sposa solo al pretendente che risolverà un enigma scegliendo quello giusto fra tre scrigni: a ciò ambisce Bassanio che vince optando per lo scrigno più povero. Specularmente agisce Jessica, bellissima figlia di Shylock, che invece tradendo le aspirazioni paterne, si unisce a un cristiano e fugge rubando un anello appartenuto alla madre. E se Porzia e Bassanio declinano il loro amore in modo “alto” più popolare ma simmetrico appare il rapporto fra l’amico di lui – Graziano – e Nerissa, fidata cameriera di Porzia.

Sarà l’intelligentissima dama “en travesti” ad intervenire come avvocato in difesa di Antonio, quando questi – perdute le sue navi – si troverà nella drammatica condizione di pagare la cruenta obbligazione a Shylock. Con argute argomentazioni salverà la vita ad Antonio, punirà la furia vendicativa dell’usuraio, assicurerà sostanze e futuro a Jessica riuscendo anche a rimproverare al marito Bassanio la sua scarsa costanza.
Un mondo mutevole e vibrante di personaggi che incarnano inquietudini, chiaroscuri e complessità di modernità assoluta.

Piermario Vescovo in “Una lettura di “The Merchant of Venice” a partire dalla sua fonte” evidenzia infatti «Basta (…) una minima porzione dell’intera estensione di questi motivi nel testo, per capire che Bassanio è la realizzazione del desiderio di ‘nobiltà’ di Antonio (ivi compreso il suo dispendio di rappresentanza) e che Antonio trova a propria volta – dall’incomprensibile «sadness», né mercantile né amorosa, che lo distanzia dall’interesse all’offerta della sua carne degna dell’antica virtù romana – un percorso di elevazione. Tant’è che l’Antonio che sputa sulla barba e sulla veste di Shylock e che si dichiara di volerlo fare anche dopo il prestito è certo diverso dall’Antonio patiens incarcerato e che attende la sentenza, forse più eroe romano che martire cristiano.

Il giovinotto, ‘soldato’ e ‘umanista’ che si accompagnava al Marchese di Monferrato, ha dunque studiato e si comporta da nobile e lo diventerà sposando Portia, appunto non per un calcolo venale che lo salvi dalla rovina o che gli permetta ancora di scialacquare, ma per una relazione che si spiega solo in termini simbolici. Per sposare Portia bisogna, infatti, essere degni di lei, avere ‘cuor gentile’, il che significa – nel percorso escogitato dal fu signore di Belmonte – essere capaci di preferire ciò che apparentemente non ha valore (il piombo) all’oro e all’argento: saper trovare il vero tesoro non facendosi ingannare dalle apparenze e soprattutto dai motti depistanti degli scrigni, che, come in un’‘impresa’, accompagnano un’immagine (l’oro, l’argento, il piombo), con la caratteristica che i motti sono qui arguti e non didascalici, e quindi ‘traditori’. Chi spreca il denaro o non se ne cura si mostra più adatto di chi lo accumula o saggiamente lo investe dell’impresa: questa la differenza capitale tra Bassanio, Shylock ed Antonio».

IL MERCANTE DI VENEZIA
Nota di regia – di Paolo Valerio

“For Sport”, per sport.
Shylock dice così, nel momento cruciale del primo atto del “Mercante di Venezia”, rivolgendosi ad Antonio: “(…) firmatemi il vostro contratto, con la clausola (è solo per sport) che se non mi rimborsate nel tale giorno e nel tale luogo la tale somma, la penale sarà stabilita in una libbra precisa della vostra bianca carne (…)”
Quindi è un gioco, uno scherzo, una bagatella…
Tutta questa storia di una libbra di carne è solo il divertimento di un ricco ebreo che vuole farsi beffa di un mercante tanto arrogante quanto malinconico.
«Bisognerebbe essere ciechi, sordi e ottusi – scrive il grande critico letterario Harold Bloom – per non accorgersi che la grandiosa ed equivoca commedia shakespeariana “Il mercante di Venezia” è un’opera profondamente antisemita». Uno scherzo…
Dietro a questo “sport”, a questa ignobile beffa, c’è una storia di vendetta, di denaro, di tradimenti, di emarginazione. E carne e sangue: Shylock ne è ossessionato.
C’è sempre qualcosa di potentemente fisico a caratterizzare la figura di Shylock: un forte rapporto con la materia, con il corpo, con ciò che è divorabile… “sazierò l’antico rancore” è una delle prime asserzioni dell’ebreo. Un verbo non scelto a caso, in una battuta che pone subito in luce il tema fondante della vendetta contro una società che esclude chi le è estraneo.
«Sono infatti odio e spirito di vendetta – per gli sputi subiti, per gli insulti di Antonio che lo paragona a un cane rabbioso, per il suo opporsi all’usura – a suggerire a Shylock la crudele obbligazione per il prestito al mercante, la famosa libbra di carne: “Lui odia il nostro sacro popolo e inveisce contro di noi e io odio lui perché è un cristiano” dice infatti l’ebreo, dichiarando chiaramente lo scenario di un’aperta lotta fra religioni, fra culture.
Di contro, ogni battuta di Antonio adduce ad una vocazione al martirio. Nell’iconografia dello spettacolo abbiamo accolto quest’ispirazione ed Antonio durante il processo appare in effetti “crocifisso”, a petto nudo e braccia aperte, in attesa della lama di Shylock.
Appena l’intervento del giovane avvocato salva la vita di Antonio e condanna Shylock, il mercante però rovescia la violenza dell’ebreo in una violenza altrettanto brutale chiedendo per lui la forzata conversione al cristianesimo. Da una parte, allora, c’è il cruento cannibalismo di Shylock, e dall’altra, apparentemente, un martire cristiano: però questo cristiano, appena scende dalla sua croce, come prima azione obbliga l’ebreo alla conversione, imponendogli di fatto il corpo di Cristo.
Nulla obbliga Antonio a questa scelta: è la sua volontà, la sua richiesta al Doge, una richiesta di terribile violenza.
Ma nell’immaginario degli spettatori è la “libbra di carne” a rimanere impressa, e scivola via invece l’inumana scelta del mercante, fino ad allora tratteggiato come un uomo libero, più o meno illuminato, generoso… E che invece rivela un lato vendicativo, un atteggiamento impositivo che rimanda piuttosto all’oscurantismo dell’inquisizione.
Shylock, davanti ad un simile atto, avrebbe potuto a propria volta immolarsi, dire “no, uccidetemi”. Invece per sopravvivere dice “accetto”: questa è la sua vera sconfitta. Rimane un escluso, un violento e diviene un perdente, privato non solo della sua orribile obbligazione, e del denaro, ma soprattutto della sua dignità.
Shakespeare lo lascia così: lo fa uscire di scena “sottovoce” nel quarto atto, dedicando il quinto alla dimensione dell’incanto e del divertimento di Belmonte, alla celebrazione di un universo femminile, luminoso, intuitivo e salvifico, come spesso è nella sua drammaturgia.
Ma la figura dell’ebreo e la sua dialettica con il mercante, sono così centrali, così potenti e universali, che abbiamo scelto di evidenziarlo, aprendo e chiudendo il nostro spettacolo con un’apparizione di Shylock, che nell’ultima scena vive davanti ai nostri occhi la brutalità di una conversione imposta.

IL MERCANTE DI VENEZIA

di William Shakespeare
Mercoledì 11 gennaio 2023 – Ore 21
Teatro Alessandrino – Via Giuseppe Verdi n.12 – Alessandria

traduzione Masolino D’Amico
con Franco Branciaroli
Piergiorgio Fasolo, Francesco Migliaccio
e (in o.a.)
Emanuele Fortunati, Stefano Scandaletti, Lorenzo Guadalupi,
Giulio Cancelli, Valentina Violo, Dalila Reas, Mauro Malinverno, Mersila Sokoli
regia e adattamento di Paolo Valerio
scene di Marta Crisolini Malatesta
costumi di Stefano Nicolao
luci di Gigi Saccomandi
musiche Antonio Di Pofi
movimenti di scena Monica Codena

Si ringrazia per la collaborazione Laura Pelaschiar dell’Università degli Studi di Trieste

produzione
Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia Centro Teatrale Bresciano Teatro de Gli Incamminati

DISTRIBUZIONE nomi/ruoli

Franco Branciaroli – Shylock
Piergiorgio Fasolo – Antonio
Francesco Migliaccio – Salerio / Doge
Emanuele Fortunati – Solanio / Principe di Marocco
Stefano Scandaletti – Bassanio
Lorenzo Guadalupi – Lorenzo
Giulio Cancelli – Graziano / Principe di Aragona
Valentina Violo – Porzia
Dalila Reas – Nerissa
Mauro Malinverno – Lancillotto / Tubal
Mersila Sokoli – Jessica