di Dario B. Caruso
Alcuni giorni fa ho ascoltato per caso, su una stazione radiofonica, la canzone “Viaggi e miraggi” di Francesco De Gregori.
Geniale come in quasi tutti i suoi brani, De Gregori utilizza un calembour linguistico per puntare il dito sull’importanza del percorso piuttosto che della meta.
Il punto d’arrivo non è mai come lo immagini perché un miraggio resta un miraggio.
Ciò non toglie nulla al valore dell’esperienza, angoli nel presente che fortunatamente diventeranno curve nella memoria, e alla preziosità dell’attimo vissuto in quanto domani ci accorgeremo che non ritorna mai più niente.
La fugacità del tempo è un argomento affrontato e approfondito dalle più grandi menti della storia dell’umanità.
Per questa ragione non mi ci addentro, non ne ho gli strumenti.
Altra cosa è voler giocare con le parole e con le assonanze; qui mi trovo in agio e padronanza.
Parafraso dunque il Cantautore con un titolo senza testo: corsi e rimorsi.
Per fare ciò prendo a prestito Giambattista Vico e declino il suo concetto sulla mia piccola esperienza.
Tutto ciò che si è fatto ha una storia, uno sviluppo e qualche volta una fine; altre volte invece c’è una sospensione temporale in attesa di riprendere, rielaborare e portare avanti.
Non esiste dunque un continuum, la nostra vita è una clessidra che qualche volta si inclina e i granelli restano lì, appesi al bulbo superiore in attesa della nuova verticalità.
La sabbia tutta deve attraversare il passaggio stretto, per non restare nel rimorso.