di Ettore Grassano
“Sono appena rientrato da Novara, dove si sono svolti i test per l’ammissione alla Facoltà di Medicina: anche quest’anno una netta prevalenza di candidate donne, a conferma del fatto che il medico è un percorso professionale in cui non esistono certamente barriere di genere. Del resto lo constatiamo anche in reparto: da me ci sono 6 dirigenti medico su 8”.
Il professor Luigi Castello, 48 anni, è il primario della struttura a direzione universitaria di Medicina Interna dell’Azienda Ospedaliera di Alessandria dal novembre dello scorso anno. Rappresenta, insieme a non pochi colleghi e colleghe, la nuova leva di dirigenti/docenti/manager su cui la sanità alessandrina punta per un vero e proprio ‘salto di qualità’, sia sul fronte clinico e didattico che su quello della ricerca. Proviamo a farci spiegare come Irccs, Ospedale Universitario, Campus siano i cardini di un progetto che interessa tutti noi in quanto fruitori della sanità alessandrina, e che al contempo rappresenta anche un importante volàno di crescita, culturale ed economica, per tutto il territorio provinciale.
Professor Castello, perché ha scelto Alessandria, dal punto di vista professionale?
L’ho vista come una bella opportunità di crescita professionale, ma soprattutto come un’esperienza formativa e stimolante: far parte di un progetto in rapida e costante evoluzione, in cui accanto ai corsi della Facoltà di Medicina anche la struttura ospedaliera e di ricerca sta evolvendo rapidamente, verso traguardi ambiziosi, da un lato significa correre sempre, dall’altra però arrivi soddisfatto alla fine della giornata. Mediamente abbastanza lunga…
Cosa fa il primario della struttura a direzione universitaria di Medicina Interna?
E’ un ruolo ‘trasversale’ rispetto a clinica, didattica e ricerca. Sono un docente della Facoltà di Medicina dell’Upo, a cui è stata data l’opportunità di dirigere anche la struttura a direzione universitaria di Medicina Interna dell’Azienda Ospedaliera di Alessandria. Il che significa poter sviluppare una costante connessione tra il corso di Medicina e il reparto, che è poi l’approccio ‘integrato’ da tutti ritenuto ormai essenziale per una sanità che sia in grado di curare, di insegnare, di fare ricerca. Il reparto di insegnamento e la ricerca clinica sono strettamente connessi, la presenza di studenti che dovranno esercitarsi per indentificare i problemi del malato è uno stimolo costante al miglioramento. Questi primi dieci mesi sono stati molto intensi e stimolanti sotto molti punti di vista. Ho lavorato su più fronti: clinico-organizzativo, didattico e di ricerca. Al mio arrivo ho trovato un gruppo di medici e infermieri con grandissime doti professionali e umane.
A proposito di risorse umane: si lamenta spesso la carenza di organico, sia sul fronte medico che paramedico, e una costante ‘fuga dei cervelli’. C’è chi suggerisce ‘stop’ al numero chiuso…..
Purtroppo non è così facile. Nessuno mette in discussione che anche una parte di coloro che, per varie ragioni, non superano le selezioni sarebbero in grado di studiare medicina, o infermieristica. Ma stiamo parlando di professioni che devono prevedere, accanto alla teoria, adeguati tirocini ‘sul campo’, ossia nei reparti. E oggi, se guardiamo alla nostra realtà alessandrina, non sarebbe davvero possibile far crescere senza barriere il numero dei tirocinanti, perché non esistono strutture in grado di seguirli e supportarli. Il numero chiuso è insomma pensato anche in funzione della capacità del nostro sistema ospedaliero di formare questi studenti. Faccio un esempio che conosco bene, ossia Medicina Interna. La struttura accoglie numerosi studenti per il tirocinio. Limitando l’osservazione agli studenti di medicina, il reparto è meta degli studenti del terzo e del quarto anno, ovviamente con obiettivi formativi diversi. La Medicina Interna rappresenta una delle discipline fondamentali per la formazione dei futuri medici. In tale contesto, può sembrare strano ma non sono particolarmente rilevanti aree di eccellenza su singole patologie, che pure coltiviamo al nostro interno; per gli studenti, infatti, è molto più utile apprendere il metodo clinico, imparare a comunicare con le persone, a raccogliere tutte le informazioni utili per formulare delle ipotesi diagnostiche, a visitare in modo efficace e rispettoso, a identificare i problemi dei pazienti, a comprendere le priorità e a mettere in atto un piano di lavoro efficace, sia dal punto di vista diagnostico (pianificazione di esami) che terapeutico. Questo è quanto cerchiamo di fare, con l’encomiabile impegno dei tutors, che riescono a conciliare queste attività con i pressanti impegni assistenziali cui sono chiamati tutti i giorni.
Ad Alessandria quando usciranno i primi medici?
Nell’estate del 2024. Siamo partiti, qualche anno fa, con circa 40 iscritti al primo anno, ma a breve saranno 80. E certamente ancora non bastano, se pensiamo alle criticità di personale, negli ospedali come tra i medici di base.
Come funziona il meccanismo delle specialità? C’è il rischio che qui non ce siano abbastanza, o invece al contrario che dopo complessivi 10 anni di studio i giovani medici vadano poi a lavorare in Svizzera, o chissà dove?
Sono due questioni separate. Le specialità a cui possono indirizzarsi i neo laureati in medicina sono una ‘rete’ molto articolata, e già oggi l’Ospedale di Alessandria in particolare è punto di accoglienza e riferimento per diversi specializzandi che si sono laureati altrove. Certamente sarà fondamentale che dal 2024, quando cominceranno ad esserci i primi medici laureati all’Upo polo di Alessandria, la rete degli ospedali del territorio possa rappresentare un valido bacino di specialità, che ruoteranno attorno all’Azienda Ospedaliera. Per questo peraltro è fondamentale il percorso che si è intrapreso, e che porterà speriamo a breve, alla trasformazione dell’Ospedale di Alessandria in Ospedale Universitario. Del resto, essendoci qui un corso di laurea in Medicina, il processo sarà assolutamente conseguenziale. Quanto alla ‘fuga dei cervelli’, per trattenerli è importante poter offrire loro, semplicemente, una prospettiva di qualità. Un sistema sanitario alessandrino proiettato verso innovazione e ricerca sarà anche più ‘attrattivo’, in primo luogo per i medici che si appresta a laureare nei prossimi anni.
In questo processo quanto ‘peserà’ la nascita, tra Alessandria e Casale Monferrato, la nascita del primo Irccs pubblico piemontese, dedicato a ricerca e cura sulle patologie ambientali?
Sarà determinante. Auspico che i grandi sforzi, che tutti insieme stiamo profondendo, portino al compimento del percorso. Già oggi la collaborazione con il Dairi, la struttura di ricerca e innovazione diretta dal Dottor Maconi, è fortissima, ed è quello il nucleo di competenze e professionalità che potrà portarci, mi auguro in tempi rapidi, al riconoscimento come Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico.
Per tutto questo serve anche la realizzazione di un nuovo ospedale? Lei lavora da quasi un anno al Santi Antonio e Biagio: che idea si è fatto della struttura?
Alessandria ha un ottimo ospedale, di qualità assoluta in termini sia di competenze e professionalità, sia di tecnologie, oggi indispensabili per erogare prestazioni sanitarie di eccellenza. Ma mi pare evidente che la struttura ha dei limiti legati alla logistica, e alla vetustà di alcune parti. Per cui la realizzazione di un nuovo ospedale, moderno, efficiente e facilmente raggiungibile dal centro cittadino come da tutta la provincia, è certamente un altro tassello fondamentale per costruire il futuro. Sarebbe fondamentale, per gli studenti come per il personale docente e medico sanitario, poter operare in un’area omogenea, che consente spostamenti rapidi. E naturalmente tutto questo significherebbe, per quella parte di Alessandria, anche una notevole crescita dal punto di vista della valorizzazione dell’intera area.