Domenica, 11 agosto.
Sono le 5 di mattina.
Io, Luca e Marco, tirati a lucido in smoking, ci incamminiamo sulla Passeggiata degli Artisti.
È ancora buio ma laggiù, verso est, impercettibilmente si fa più chiaro.
Vista da fuori, dagli ultimi ragazzi sfiniti dagli alcolici notturni che si trascinano avanti tra un conato e un vomito, siamo tre assurde figure che hanno perso il luogo e il tempo.
Vista da dentro, potremmo essere fotogrammi di una pellicola di Fellini, avendo perso il luogo e il tempo ma sapendo dove andare.
Alcuni stabilimenti balneari aprono e si preparano a sfornare le prime brioches e focacce, il profumo di caffé avvolge l’aria salmastra.
“Quante persone avranno voglia di mettere la sveglia a quest’ora per andare sul molo e ascoltare un concerto?”
La domanda frulla nella testa di tutti e tre, qualcuno la esterna in maniera più o meno spiritosa.
“Probabilmente il pubblico sarà composto da qualche amico con l’occhio cisposo e una manciata di gabbiani.”
Questa considerazione resta nei pensieri.
Invece in una scena altrettanto onirica, sul molo tre musicisti armati di strumento e leggio arrivano lenti e, mentre il cielo gradualmente rischiara da est a ovest, un piccolo crocchio di audaci li attende.
Alle 5 e 54 incominciamo a suonare.
Nel frattempo arriva ancora gente e il molo si gremisce di occhi silenziosi e orecchie tese per ascoltare le nostre note, terse come l’aria, e lo sciabordio del mare, sapiente come uno strumento divino.
Suoniamo e, nonostante siamo di spalle, sentiamo la luce solare che si leva e i primi raggi che illuminano lo spartito.
Alle 6 e 24, quando il sole sorge all’orizzonte, nell’atmosfera rarefatta e dilatata si compie un prodigio della natura.
Non c’è televisione ad alta definizione che tenga.
E pensare che potremmo goderne tutti i giorni da sempre.